Le cause di ineleggibilità
Cap. I
Principi generali
1. Disciplina - interpretazione
Le cause di ineleggibilità, derogando al principio costituzionale della generalità del diritto elettorale passivo, sono di stretta interpretazione e devono comunque rigorosamente contenersi entro i limiti di quanto sia ragionevolmente indispensabile per garantire la soddisfazione delle esigenze di pubblico interesse cui sono preordinate (Corte cost., 2 febbraio 1990, n. 53).
È stato così stabilito che le cause di ineleggibilità
definite dall’art. 60 del T.U., limitative di un diritto fondamentale del cittadino costituzionalmente garantito, hanno carattere tassativo e non possono, quindi, essere estese a situazioni dalle stesse non espressamente previste.
Le cause di ineleggibilità sono disposte al fine di tutelare la libertà di voto sancita dall’art. 48 della Costituzione, escludendo la partecipazione alle elezioni di coloro che si trovano in posizioni tali da poter esercitare influenze e pressioni indebite sull’elettorato. Le cause di ineleggibilità costituiscono materia riservata alla legge, dalla quale sono stabilite con precisione, onde evitare la loro dilatazione o restrizione in sede applicativa (Corte cost., 26 marzo 1969, n. 46).
2. Data di riferimento
L’esistenza delle cause di ineleggibilità previste dall’art. 60, comma 1, del D.Lgs. n. 267/2000 deve essere verificata, ai sensi del comma 2 dello stesso articolo, con riferimento esclusivo al giorno fissato per la presentazione delle liste dei candidati, consistendo la ratio della disciplina nella tutela della correttezza del procedimento elettorale e della condizione dei candidati fin dalla predetta fase (Cass. civ., sez. I, 21 novembre 2009, n. 24590).
3. Mancata rimozione ineleggibilità - decadenza
Il provvedimento previsto dall’ordinamento nell’ipotesi di elezione di un candidato che non abbia tempestivamente rimosso la causa di ineleggibilità, è la pronuncia di decadenza effettuata dal Consiglio comunale (o provinciale o circoscrizionale), ai sensi dell’art. 41 del D.Lgs. n. 267/2000, nella seduta immediatamente successiva alle elezioni e prima di ogni altra delibera, con l’esame della condizione degli eletti e la dichiarazione delle eventuali condizioni di ineleggibilità rilevate (TAR Lazio Roma, sez. II, 7 settembre 2005, n. 6608).
Cap. II
Sindaco e Presidente di provincia - ineleggibilità - incompatibilità - incandidabilità
1. Cause di ineleggibilità e incompatibilità
1.1. Ineleggibilità
L’art. 61, comma 1, del Testo unico n. 267/2000 stabilisce che non possono essere eletti alla carica di sindaco o di presidente della provincia:
1) il ministro di un culto;
2) coloro che hanno ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al secondo grado che coprano nelle rispettive amministrazioni il posto di segretario comunale o provinciale.
Non sono inoltre eleggibili a sindaco e a presidente della provincia coloro che si trovano in una delle condizioni di ineleggibilità stabilite dall’art. 60 del T.U., di cui al successivo cap. IV, al quale si rinvia anche per l’approfondimento della condizione di “ministro di un culto”.
1.2. Incompatibilità
Il comma 1-bis dello stesso art. 61 stabilisce che non possono ricoprire la carica di sindaco o di presidente di provincia coloro che hanno ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al secondo grado che coprono nelle rispettive amministrazioni il posto di appaltatore di lavori o servizi comunali o provinciali o in qualunque modo di loro fideiussore.
La causa di incompatibilità così individuata non sussiste verificandosi l’esclusione stabilita dall’art. 63, comma 2, del T.U. n. 267/2000 per “coloro che hanno parte in cooperative o consorzi di cooperative iscritte regolarmente nei pubblici registri” (Cass. civ., sez. I, 30 aprile 2005, n. 9028).
Le condizioni generali di incompatibilità con la carica di sindaco sono stabilite dall’art. 63 del Testo unico e illustrate nel tit. V, cap. II.
1.3. Incandidabilità
Le cause ostative alla candidatura a sindaco e presidente di provincia sono illustrate nel precedente titolo III.
2. Sindaco e presidente della provincia - Limitazione dei mandati elettivi
L’art. 51 del T.U. n. 267/2000 stabilisce che chi ha ricoperto per due mandati consecutivi la carica di sindaco e di presidente della provincia non è, alla scadenza del secondo mandato, immediatamente rieleggibile alle medesime cariche.
È consentito un terzo mandato consecutivo se uno dei due mandati precedenti ha avuto durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno, per causa diversa dalle dimissioni volontarie.
Il Consiglio di Stato (parere della I Sezione in data 13 aprile 2005, n. 1137/2005) ha ritenuto che ai fini del verificarsi dell’ipotesi derogatoria prevista dal terzo comma dell’art. 51, che consente un terzo mandato consecutivo se uno dei mandati precedenti ha avuto durata inferiore a 2 anni, 6 mesi ed 1 giorno per causa diversa dalle dimissioni volontarie:
a) la gestione commissariale o la sostituzione del sindaco da parte del vicesindaco (o del presidente della provincia dal vicepresidente) nei casi previsti dall’art. 53, comma 1, del Testo Unico, non interrompe, ai fini suddetti, la successione dei mandati elettivi in quanto la consecutività non è riferita alla continuità temporale, bensì alla sequenzialità dei mandati elettivi;
b) nel calcolo dei 2 anni, 6 mesi ed 1 giorno che costituisce, nell’ipotesi derogatoria in esame, la soglia preclusiva per un terzo mandato consecutivo del sindaco o del presidente della provincia, non è computabile il periodo di sospensione dalla carica disposto dal Prefetto in attesa del decreto ministeriale di scioglimento del consiglio.
La Corte di Cassazione (I sez. civ., 20 maggio 2006, n. 11895; 29 gennaio 2008, n. 2001; 9 giugno 2008, n. 2765) ha ritenuto quanto segue:
- l’aver ricoperto per due volte consecutive la carica di sindaco costituisce una causa di ineleggibilità al terzo mandato, ma non di incandidabilità;
- la disposizione dell’art. 51 del T.U. n. 267/2000 stabilisce una causa tipizzata d’ineleggibilità originaria, preclusiva dell’eleggibilità del soggetto che versi in essa perché ostativa all’espletamento del terzo mandato consecutivo. Il divieto contiene in sé la sanzione in caso di violazione, rappresentata, ove l’elezione venga convalidata, dalla declaratoria di decadenza.
La disposizione dell’art. 51 del T.U. n. 267/2000 si applica senza distinzione di mandati svolti sia anteriormente che successivamente alla sua entrata in vigore, mancando ogni elemento dal quale possa desumersi che il legislatore abbia disposto l’applicabilità della norma solo per il futuro; detta disposizione prevede una causa originaria di ineleggibilità che, ove non rilevata tramite il procedimento di cui agli artt. 41 e 69 del medesimo T.U., comporta la possibilità di dichiarare la decadenza dell’eletto anche in via giudiziale (Cass. civ., sez. I, 29 gennaio 2008, n. 2001).
Il Consiglio di Stato (sez. VI, 9 giugno 2008, n. 2765), diversamente da quanto è stato affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 11895 del 2006 sopra riassunta, ha ritenuto che il divieto del terzo mandato di cui all’art. 51 del T.U.E.L. configura non una fattispecie di ineleggibilità, bensì di incandidabilità, stante il carattere originario ed irremovibile di tale causa ostativa, che si realizza sin dalla presentazione del candidato alle elezioni ed è da annoverare tra le ipotesi di nullità dell’elezione, pertanto sottratta alla disciplina di cui all’art. 53 la quale postula che la decadenza si fondi su un fatto che acquisti rilevanza solo in epoca posteriore all’elezione e, comunque, con l’insediamento dell’eletto nella carica pubblica.
La Corte dei conti (sez. giurisd. Lazio, 25 gennaio 2010, n. 94) ha ritenuto che l’elezione del Sindaco al terzo mandato consecutivo in violazione dell’art. 51, comma 2 del testo unico n. 267/2000, determina la responsabilità erariale dello stesso e del Consiglio e Giunta comunale illegittimamente operanti, a titolo di colpa grave. Il danno per l’ente è stato ritenuto circoscritto alle sole indennità di funzione e gettoni di presenza percepiti.
La dichiarazione di decadenza del sindaco eletto al terzo mandato consecutivo comporta, ai sensi dell’art. 53 del testo unico, una nuova consultazione elettorale, gravando del relativo onere le finanze del Comune.
3. Parlamentari e membri del Governo - incompatibilità alle cariche monocratiche degli enti territoriali
3.1. L’art. 62 del testo unico n. 267/2000
L’art. 62 del T.U. n. 267/2000 stabilisce che, fermo restando quanto previsto dall’art. 7 del D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 e dall’art. 5 del D.Lgs. 20 dicembre 1993, n. 533, l’accettazione della candidatura a deputato o senatore comporta, in ogni caso, per i sindaci dei comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti e per i presidenti delle province, la decadenza dalle cariche elettive ricoperte.
Le situazioni in contrasto con l’art. 62 del t.u. n. 267/2000 verificatisi nel corso degli anni per i Sindaci dei comuni con oltre 20.000 abitanti e i Presidenti delle provincie, eletti Parlamentari senza aver precedentemente cessato dimettendosi dalle cariche di amministratori locali, anche in conseguenza dei tempi ristretti nei quali spesso sono state indette le elezioni politiche, erano stati superati dalle Commissioni del Parlamento, riconducendo la causa di ineleggibilità a quella di incompatibilità conseguente all’assunzione della carica, consentendo dopo l’elezione ai Parlamentari di rimuoverla con le dimissioni da sindaco o da presidente della provincia.
La Corte costituzionale (sentenza 21 ottobre 2011, n. 277), pronunciandosi in merito alla posizione del Sindaco di un comune con oltre 20.000 abitanti eletto Senatore della Repubblica, ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge 15 febbraio 1953, n. 60, relativa alle “incompatibilità parlamentari”, nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti. La mancata previsione, accanto alla scelta di escludere l’eleggibilità alla Camera o al Senato di chi contemporaneamente rivesta la carica di Sindaco di un grande Comune, di una causa di incompatibilità per il caso in cui la stessa carica sopravvenga rispetto alla elezione a membro del Parlamento nazionale, secondo la Corte viola il principio di uguaglianza e di ragionevolezza nonché la libertà di elettorato attivo e passivo, in quanto contrasta con la “naturale corrispondenza biunivoca delle cause di ineleggibilità che incidono necessariamente su entrambe le cariche coinvolte dalla relativa previsione, anche a prescindere dal dato temporale dello svolgimento dell’elezione”. Ciò tanto più in quanto la regola dell’esclusione “unidirezionale” dipende in concreto dalla circostanza meramente casuale della cadenza temporale delle relative tornate elettorali e dalla priorità o meno dell’assunzione della carica elettiva comunale “pregiudicante” a tutto vantaggio della posizione del parlamentare.
La disciplina della materia è stata sostituita con il D.L. n. 138/2011, convertito in legge n. 148/2011, al quale è dedicato il successivo par. 3.2..
3.2. La nuova disciplina del D.L. n. 138/2011
L’art. 13, comma 3 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, nel testo approvato con la legge di conversione 14 settembre 2011, n. 148 ha stabilito, sostituendo l’art. 62 del testo unico, quanto segue:
«Fermo restando quanto previsto dalla legge 20 luglio 2004, n. 215 e s.m., le cariche di deputato e di senatore nonché le cariche di governo di cui all’art. 1, comma 2, della citata legge n. 215 del 2004, sono incompatibili con qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi, alla data di indizione delle elezioni o della nomina, popolazione superiore a 5.000 abitanti, fermo restando quanto previsto dall’art. 62 del t.u. di cui al d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267.
Le incompatibilità di cui al primo periodo si applicano a decorrere dalla data di indizione delle elezioni relative alla prima legislatura parlamentare successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto.
A decorrere dalla data di indizione delle relative elezioni successive alla data di entrata in vigore del presente decreto le incompatibilità di cui al primo periodo si applicano, altresì alla carica di membro del Parlamento europeo spettante all’Italia, fermo restando quanto previsto dall’art. 6, commi secondo, terzo, quarto, quinto e sesto della legge 24 gennaio 1979, n. 18 e s.m.
Resta fermo in ogni caso il divieto di cumulo con ogni altro emolumento: fino al momento dell’esercizio dell’opzione non spetta alcun trattamento per la carica sopraggiunta.»
Le cariche elettive di natura monocratica relative agli organi di governo degli enti locali sono quelle di sindaco e di presidente di provincia per cui l’incompatibilità stabilita dalla legge n. 148/2011 si applicherà, a decorrere dalla data di indizione delle elezioni relative alla prima legislatura parlamentare nazionale od europea, per le cariche di presidente di provincia e di sindaco di comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti.
Le cariche Parlamentari incompatibili sono quelle di Senatore della Repubblica, Deputato, Membro del Parlamento europeo spettante all’Italia.
Le cariche di Governo di cui all’art. 1, comma 2, della legge 20 luglio 2004, n. 215 sono quelle di Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro, Vice Ministro, Sottosegretario di Stato, Commissario straordinario del Governo di cui all’art. 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400.
Per il divieto di cumulo degli emolumenti si ricorda quanto dispone l’art. 83, comma 1, del T.U. n. 267/2000.
4. Sindaco - Funzioni relative alle A.S.L. - Non sono causa di ineleggibilità
I compiti attribuiti dalle leggi al sindaco, relativi alle aziende sanitarie locali, non costituiscono causa di ineleggibilità perché tali compiti sono espressione degli interessi della comunità locale, della quale il sindaco è il rappresentante (Cass. civ., I, 29 novembre 2000, n. 15285).
5. Incompatibilità con la carica di Consigliere regionale
L’art. 65 del Testo Unico stabilisce che il sindaco e gli assessori dei comuni ed il presidente e gli assessori della provincia compresi nel territorio della regione, sono incompatibili con la carica di consigliere regionale.
La Corte costituzionale, superando una precedente decisione di diverso avviso (sentenza 11 giugno 2003, n. 201) ha rilevato che il principio ispiratore che sta a fondamento dell’art. 65 del D.Lgs. n. 267 del 2000 consiste nell’esistenza di ragioni che ostano all’unione nella stessa persona delle cariche di sindaco, presidente di provincia o assessore comunale/provinciale e di consigliere regionale e nella necessità conseguente che la legge predisponga cause di incompatibilità idonee ad evitare le ripercussioni che da tale unione possano derivare sulla distinzione degli ambiti politico-amministrativi delle istituzioni locali e, in ultima istanza, sull’efficienza e sull’imparzialità delle funzioni. La Corte ha dichiarato “causa di incompatibilità” la sopravvenienza di una carica costituente causa di ineleggibilità, confermando così la validità generale del principio di non cumulo (Corte cost., sentenza 23 novembre 2011, n. 310).
5.1. Regione Sicilia - Incompatibilità cariche elettive
La Corte costituzionale (sentenza 19-23 marzo 2012) ha ritenuto sussistente la situazione di incompatibilità derivante dal cumulo tra la carica di deputato dell’Assemblea regionale della Sicilia e quella di sindaco o di assessore di un Comune, con popolazione superiore a 20.000 abitanti, compreso nel territorio della stessa Regione ed ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L.R. Sicilia 24 giugno 1986, n. 31, in combinato con quanto disposto dalla L.R. Sicilia 26 agosto 1992, n. 7, “nella parte in cui non prevedono che la carica di sindaco, o di assessore, di Comune con popolazione superiore a 20.00 abitanti, sia incompatibile con la carica di deputato dell’Assemblea Regionale”.
6. Sindaco e Consigliere in altro Comune
In merito alla candidabilità del sindaco a consigliere comunale in altro Comune, la Corte di Cassazione (sez. I civ., 9 aprile 2010, n. 8545) ha affermato che non è candidabile alla carica di sindaco chi sia consigliere in altro comune, ai sensi dell’art. 56, comma 2 del Testo Unico, e conseguentemente non è eleggibile a consigliere comunale chi è sindaco in altro comune. Si veda il successivo cap. IV, par. 2/12.
Cap. III
Giunte comunali e provinciali - componenti
1. Nomina
Il sindaco e il presidente della provincia nominano i componenti della giunta, tra cui un vice sindaco e un vice presidente, e ne danno comunicazione al consiglio nella prima seduta successiva alla elezione (T.U., art. 47, c. 2).
2. Requisiti
I cittadini nominati componenti delle giunte comunali e provinciali devono essere in possesso dei requisiti dell’età, cittadinanza, iscrizione nelle liste elettorali di un comune della Repubblica, candidabilità, eleggibilità e compatibilità alla carica di consigliere.
Nei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti lo statuto può prevedere la nomina ad assessore e vice sindaco di cittadini facenti o non facenti parte del consiglio, in possesso dei requisiti sopra indicati.
Nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti e nelle province gli assessori, vice sindaci e vice presidenti sono nominati dal sindaco o dal presidente della provincia, anche al di fuori dei componenti del consiglio, fra i cittadini in possesso dei requisiti per la carica di consigliere (T.U. art. 47, c. 3 e 4).
3. Esclusioni
Il coniuge, gli ascendenti, i discendenti, i parenti e affini entro il terzo grado del sindaco o del presidente della giunta provinciale, non possono far parte della rispettiva giunta né essere nominati rappresentanti del comune e della provincia (T.U, art. 64, c. 4).
4. Incompatibilità
La carica di assessore, vice sindaco o vice presidente nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti e nelle province è incompatibile con la carica di consigliere comunale o provinciale. Il consigliere comunale o provinciale che assume la carica di componente della rispettiva giunta, cessa dalla carica di consigliere all’atto dell’accettazione della nomina ed al suo posto subentra il primo dei non eletti.
La carica di assessore e vice sindaco dei comuni con popolazione sino a 15.000 abitanti è compatibile con quella di consigliere dello stesso comune (T.U. art. 64, c. 1, 2, 3).
5. Verifica dei requisiti
Il sindaco e il presidente della provincia, all’atto della nomina dei componenti della rispettiva giunta, procedono alla verifica dell’esistenza delle condizioni di candidabilità, eleggibilità e compatibilità per l’attribuzione agli stessi della carica. Le modalità della verifica devono essere stabilite dallo statuto o dal regolamento consiliare. I membri della Giunta possono autocertificare l’esistenza dei requisiti predetti, restando al sindaco o al presidente il dovere di verificare nei tempi di legge quanto certificato dagli interessati.
I ricorsi riferiti a tali requisiti sono di competenza del giudice ordinario (Cass. civ., sez. un., 28 novembre 1994, n. 10131).
Cap. IV
Cause generali di ineleggibilità
1. Le cause di ineleggibilità - Definizione
Il principio generale che regola le condizioni che sono causa di ineleggibilità alle cariche degli enti locali è indicato nel precedente tit. I, cap. III. La dottrina afferma che l’ineleggibilità ha come principale motivo di impedire ai candidati di utilizzare la carica che ricoprono per influenzare il procedimento elettorale a loro vantaggio; per questo la causa di ineleggibilità non ha effetto se l’interessato cessa dalla carica che lo rende ineleggibile e dall’esercizio delle relative funzioni prima della presentazione delle candidature o comunque nel termine stabilito da speciali disposizioni.
2. Le cause di ineleggibilità
L’art. 60 del T.U. ha stabilito che non sono eleggibili a sindaco, presidente della provincia, consigliere provinciale, comunale e circoscrizionale coloro che si trovano nelle seguenti condizioni, stabilite dal predetto articolo:
1)
Il capo della polizia, i vice capi della polizia, gli ispettori generali di P.S. che prestano servizio presso il Ministero dell’interno, i dipendenti civili dello Stato che svolgono le funzioni di direttore generale o equiparate o superiori.
La condizione di ineleggibilità consegue alle funzioni, particolarmente importanti e delicate, che sono attribuite ai massimi dirigenti della polizia ed ai dipendenti civili delle amministrazioni dello Stato che svolgono funzioni di direttore generale o equiparate o superiori.
L’ineleggibilità ha carattere generale e si estende a tutti i comuni e a tutte le province.
2)
Nel territorio nel quale esercitano le loro funzioni, i Commissari di Governo, i Prefetti della Repubblica, i viceprefetti ed i funzionari di P.S.
La condizione di ineleggibilità dei funzionari compresi nel par. n. 2 è limitata alla provincia ed ai comuni inclusi nella circoscrizione territoriale dell’ufficio presso il quale gli stessi esercitano le loro funzioni.
La causa di ineleggibilità riguarda soltanto i funzionari di polizia (dirigenti o no), categoria di fascia elevata contraddistinta dal titolo di studio superiore alla scuola dell’obbligo, non estendibile a sottoufficiali subordinati come maresciallo capo (Cass. civ., sez. I, 26 novembre 2010, n. 24021).
3)
Nel territorio, nel quale esercitano il comando, gli ufficiali generali, gli ammiragli e gli ufficiali superiori delle Forze armate dello Stato.
La disposizione del n. 3, sopra riportata, è stata abrogata dall’art. 2268, comma 1, del D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66.
4)
Nel territorio nel quale esercitano il loro ufficio, gli ecclesiastici ed i ministri di culto, che hanno giurisdizione e cura di anime e coloro che ne fanno ordinariamente le veci.
Le cause di ineleggibilità previste dal n. 4 hanno il fine di impedire che il candidato, avvalendosi delle sue funzioni spirituali, possa esercitare una influenza sugli elettori, in merito alle loro libere scelte (Corte cost., n. 58/1972).
La Cassazione (sez. I, 27 giugno 1975, n. 2514) ha ritenuto che il riferimento normativo all’esercizio della giurisdizione e cura d’anime, debba intendersi come nozione di carattere generale, applicabile per qualsiasi fede religiosa. La definizione che è stata data dal n. 4 della legge si estende a tutti gli ecclesiastici e ministri di culto che hanno giurisdizione e cura di anime ed a coloro che ne fanno ordinariamente le veci.
La qualità di “ministro di culto”, prevista come ostativa alla “nomina” alla carica di sindaco deve essere annoverata fra le cause di “ineleggibilità” in senso stretto di cui all’art. 2 della legge 23 aprile 1981, n. 154 (T.U., art. 60). Tale qualità (la quale si riferisce all’esercizio della funzione di amministrare il culto, e che, con riferimento alla chiesa cattolica, designa i fedeli che, avendo ricevuto il sacramento “dell’ordine”, adempiono alle funzioni di “insegnare, santificare e governare” i fedeli) è presa in considerazione in relazione al concreto esercizio (o alla possibilità di esercizio) di tale specifica funzione, quale requisito ostativo alla elezione. Con la previsione in esame si è inteso garantire la libera determinazione della volontà degli elettori da indebite interferenze che il concreto esercizio di attività pastorali rende possibili e configurabili (Cass. civ., I, 14 aprile 1997, n. 3193).
5)
I titolari di organi individuali ed i componenti di organi collegiali che esercitano poteri di controllo istituzionale sull’amministrazione del comune o della provincia, nonché i dipendenti che dirigono o coordinano i rispettivi uffici.
a) Revisori dei conti
I membri del collegio dei revisori dei conti - o il revisore unico dei conti - sono ineleggibili a sindaco, presidente della provincia o consigliere dell’ente presso il quale esercitano le predette funzioni che attengono alla vigilanza ed al controllo della regolarità contabile e finanziaria della gestione (Cass. civ., sez. I, 22 marzo 1996, n. 2478).
La scelta dei revisori dei conti degli enti locali è disciplinata da quanto dispongono l’art. 16, comma 25 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148, e il regolamento adottato con decreto del Ministero dell’interno 15 febbraio 2012, n. 23 ed è effettuata con estrazione dall’elenco istituito presso lo stesso Ministero. Tali norme hanno sostituito quelle previste per la scelta dei revisori dei conti dall’art. 234 del testo unico n. 267/2000.
Il D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, ha stabilito all’art. 3, comma 1, lett. m), che uno dei componenti, con funzioni di presidente, del collegio dei revisori dei conti delle province, città metropolitane, comuni con oltre 60.000 abitanti e capoluoghi di provincia, è designato dal Prefetto ed è scelto tra i dipendenti del Ministero dell’interno o dell’economia e finanze. A tale componente si estende la condizione di ineleggibilità stabilita per i revisori dei conti dell’ente presso il quale esercita la sua funzione.
L’art. 3, comma 1, lett. s), dello stesso decreto n. 174/2012 ha disposto l’inserimento del comma 5-bis nell’art. 248 del testo unico n. 267/2000, norma con la quale è stato stabilito il divieto di nomina nel collegio dei revisori dei conti degli enti locali e la sospensione dall’elenco ministeriale, fino a dieci anni, dei revisori dei comuni e degli altri enti locali dei quali è stato dichiarato il dissesto e nei cui confronti la Corte dei conti ha accertato la sussistenza di gravi responsabilità nello svolgimento delle funzioni attribuite.
L’art. 236 del Testo unico stabilisce le cause di incompatibilità ed ineleggibilità a revisori dei conti degli enti locali, dalle quali consegue la loro ineleggibilità alle cariche degli enti predetti presso i quali esercitano le funzioni.
b) Magistrati della Corte dei conti
La legge 5 giugno 2003, n. 131 ed il D.L. 10 ottobre 2012, n. 174 hanno attribuito alle Sezioni regionali di controllo e giurisdizionali della Corte dei conti ampie funzioni e potestà di verifica della legittimità e regolarità delle gestioni dei comuni e delle province.
All’esercizio delle funzioni di verifica e controllo partecipano, secondo quanto dispone l’art. 3 del D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, il Corpo della Guardia di finanza e i Servizi Ispettivi di finanza pubblica dello Stato, ed hanno funzioni di indirizzo per l’espletamento di tali funzioni, a livello nazionale, la Ragioneria Generale dello Stato, le Sezioni Riunite e la Sezione Autonomie della Corte dei conti.
c) Difensori civici comunali, provinciali e territoriali
Il Difensore civico provinciale non è eleggibile alle cariche dell’Amministrazione provinciale dalla quale è nominato ai sensi dell’art. 11 del Testo Unico. Quando allo stesso sono attribuite con convenzione le funzioni di difesa civica di comuni compresi nell’ambito della provincia, assume la denominazione di “Difensore civico territoriale” ed è ineleggibile alle cariche della Provincia ed a quelle dei Comuni per i quali esercita le predette funzioni secondo quanto è stabilito dall’art. 2, comma 186, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 e s.m.i..
I Difensori civici comunali che conservano tali funzioni fino al termine degli incarichi in corso all’entrata in vigore dell’art. 1, comma 2 della legge 26 marzo 2010, n. 42, fino a tale scadenza sono ineleggibili alle cariche dei Comuni nei quali esercitano le funzioni.
L’ineleggibilità alle cariche predette dei difensori civici fu affermata con sentenza del TAR Lombardia 4 luglio 1992, n. 796.
d) Difensore civico regionale
Al Difensore civico regionale competono gli interventi, previsti dall’art. 136 del T.U., per la nomina di commissari ad acta incaricati dell’adozione di atti obbligatori per legge che gli enti locali, sebbene invitati a provvedere entro un congruo termine, omettono di compiere. Esercita pertanto funzioni che comportano l’ineleggibilità alle cariche dei comuni e delle province comprese nel territorio della Regione nella quale esercita le sue funzioni.
e) Funzioni di controllo e verifica esercitate dallo Stato
L’attribuzione ad organi statali, dipendenti in particolare dai Ministeri dell’Interno, dell’Economia e Finanze e della Funzione Pubblica, di funzioni di controllo, verifica e sanzione dell’attività (finanza, contabilità, personale) dei comuni e delle province, assegna ai dirigenti ed agli ispettori alle stesse preposti, compiti che possono determinare, a seconda delle funzioni attribuite, le condizioni ostative alle cariche elettive degli enti locali stabilite dai n. 1 e 5 del comma I dell’art. 60 del T.U..
6)
Nel territorio nel quale esercitano le loro funzioni, i magistrati addetti alle corti di appello, ai tribunali, ai tribunali amministrativi regionali, nonché i giudici di pace.
L’ineleggibilità prevista dal par. n. 6 esplica la sua efficacia nell’ambito della circoscrizione territoriale nella quale i magistrati nello stesso indicati esercitano le loro funzioni.
Al di fuori della circoscrizione i magistrati previsti dalla norma possono essere eletti alle cariche di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale.
La Corte di Cassazione (sez. I civ., 14 febbraio 2003, n. 2195) ha ritenuto che i giudici onorari addetti ai tribunali ai sensi dell’art. 42-bis dell’ordinamento giudiziario, devono ritenersi inclusi nella previsione di ineleggibilità alle cariche degli enti locali di cui al comma 1, n. 6, dell’art. 60 del T.U. 18 agosto 2000, n. 267.
La causa di ineleggibilità a consigliere provinciale o comunale del giudice onorario di tribunale può considerarsi cessata, ha affermato la Cassazione (sez. I civile, 26 luglio 2006, n. 17086), soltanto a seguito di formale e tempestiva presentazione delle dimissioni e non soltanto di richiesta di aspettativa che, in quanto prevista per i dipendenti pubblici a tempo indeterminato, fra i quali non è sicuramente inquadrabile il giudice onorario investito di un incarico ontologicamente temporaneo, deve intendersi riferita esclusivamente alle ipotesi di ineleggibilità contemplate dall’art. 60 con riferimento alla qualità di pubblico dipendente.
Il D.Lgs. 7 settembre 2012, n. 156, illustrato nella parte 39 della Guida Normativa, ha disciplinato la nuova organizzazione dei Giudici di Pace.
Il giudice di pace non è eleggibile alle cariche dei comuni nei quali esercita le funzioni. Al di fuori di questo territorio il giudice ha il diritto elettorale passivo ma una volta conseguita l’elezione decade dalle funzioni giudiziarie secondo quanto stabilito dall’art. 8 della legge 21 novembre 1991, n. 374 (TAR Lazio Roma, sez. I, 6 aprile 2006, n. 2444).
Non sussistono le condizioni di l’ineleggibilità a sindaco, presidente della provincia, consigliere provinciale, comunale e circoscrizionale dei Magistrati:
a) della Corte costituzionale;
b) del Tribunale superiore delle acque;
c) della Corte di Cassazione, esclusi quelli che prestano servizio presso gli uffici giudiziari indicati nella norma suddetta;
d) del Consiglio di Stato, esclusi quelli che prestano servizio presso il TAR nella cui giurisdizione è compreso l’ente.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto che non è ineleggibile il candidato alle elezioni comunali che, pur avendo la qualifica professionale di Magistrato (di Corte d’Appello, di Tribunale o di TAR) o di Magistrato onorario, non svolga effettivamente alla data della consultazione elettorale le funzioni giudiziarie (C.d.S., sez. V, 6 giugno 1996, n. 687).
7)
I dipendenti del comune e della provincia per i rispettivi consigli.
a) La condizione di “dipendente”
L’individuazione della condizione di “dipendente” del comune e della provincia, ai fini della ineleggibilità alla carica di consigliere, di sindaco, presidente e assessore ha determinato incertezze e contenzioso, per le diverse condizioni giuridiche che caratterizzano i rapporti di lavoro negli enti predetti.
La Cassazione ritenne che “la disposizione che prevede l’ineleggibilità alla carica di consigliere comunale di coloro che, al momento dell’accettazione della candidatura, sono dipendenti del comune - data la sua genericità e in difetto di ulteriori specificazioni - si estende a tutte le persone che siano legate all’ente da un rapporto implicante subordinazione, con esclusione quindi delle sole prestazioni di lavoro autonomo, restando indifferente la natura del rapporto di lavoro, sia di pubblico impiego o di diritto privato” (Cass. civ., sez. I, 15 settembre 1995, n. 9762). La multiforme varietà dei rapporti di lavoro esistenti negli enti locali non sempre consente di individuare agevolmente quelli per i quali esiste la condizione di “dipendenza” stabilita dalla norma in esame e sono quindi applicabili le disposizioni del terzo comma dell’art. 60, in relazione a quanto previsto dal successivo comma ottavo dello stesso articolo. I rapporti a tempo determinato, gli incarichi di collaborazione (co.co.co.), le forme flessibili di assunzione, la fornitura di prestazioni con contratto di somministrazione e le altre esistenti richiedono valutazioni ed approfondimenti da effettuare caso per caso, in relazione alla loro natura effettiva ed alle norme di legge e di contratto che le regolano.
b) I rapporti di lavoro a tempo indeterminato
Il rapporto stabile di dipendenza dall’ente locale è causa di ineleggibilità alle cariche dello stesso, secondo quanto dispone il par. 7, comma 1, dell’art. 60.
Non ha effetto se l’interessato cessa dalle funzioni per dimissioni, trasferimento ad altro ente, revoca del rapporto o collocamento in aspettativa non retribuita richiesta nei termini, con le modalità e condizioni di cui ai commi 3, 5 e 6 del medesimo articolo.
c) I rapporti di lavoro a tempo determinato
Il rapporto di dipendenza a tempo determinato dall’ente locale è causa dell’ineleggibilità alle cariche dello stesso, secondo il par. 7, comma 1, dell’art. 60. Le diverse modalità e condizioni che regolano i rapporti di lavoro a tempo determinato richiedono la valutazione specifica caso per caso, per accertare se sussistono le condizioni di dipendenza dall’ente e di precarietà della durata.
Il comma 8 dell’art. 60 stabilisce che non possono essere collocati in aspettativa i dipendenti assunti a tempo determinato. Pertanto la causa di ineleggibilità degli stessi cessa con le dimissioni, trasferimento ad altro ente e revoca del rapporto, con le modalità, condizioni e termini di cui ai commi 3, 5 e 7 dell’art. 60.
d) Le attività socialmente utili
Le prestazioni relative alle “attività socialmente utili” non determinano l’instaurazione di un rapporto di lavoro con l’ente presso il quale le stesse sono effettuate (art. 4, D.Lgs. 28 febbraio 2000, n. 81).
Il rapporto intercorrente tra un “lavoratore socialmente utile” e le pubbliche amministrazioni non ha natura di rapporto di lavoro subordinato e non costituisce causa ostativa all’assunzione ed all’espletamento del mandato elettivo (Cassaz., sez. un. civ., 22 febbraio 2005, n. 3508 ).
e) Contratti di collaborazione co.co.
I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personali e senza vincolo di subordinazione, di cui all’art. 409 del codice di procedura civile ed all’art. 61 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 costituiscono una posizione intermedia fra il lavoro autonomo, proprio dell’incarico professionale, ed il lavoro subordinato. Non dovrebbero essere utilizzati per le esigenze istituzionali durature, determinando in tal caso rapporti a tempo determinato (Corte dei Conti, Umbria, sez. giurisd. 22 novembre 2005, n. 447). Ai fini in esame le relative posizioni devono essere valutate per accertare se sussistono le condizioni di dipendenza che determinano la causa di ineleggibilità, tenendo conto anche dei provvedimenti di attuazione di quanto previsto dall’art. 1, comma 1204 della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
Qualora sia accertata la sussistenza del rapporto di dipendenza a termine, si applica quanto per lo stesso indicato nel par. c).
f) I dipendenti in posizione di “distacco”
L’ineleggibilità dei dipendenti del comune e della provincia riguarda i “dipendenti” come tali, a prescindere dalla natura - pubblica o privata - del relativo rapporto e dalla durata - determinata o indeterminata - di esso, nonché dalla circostanza che il dipendente sia stato, per ipotesi, distaccato presso altro ente (atteso che il provvedimento di “distacco” agisce sull’aspetto funzionale, e non su quello genetico, del rapporto di servizio) (Cass. civ., sez. I, 3 dicembre 1987, n. 8975). Conseguentemente il provvedimento di distacco del dipendente del comune (o della provincia) presso altro ente pubblico non elimina la causa di ineleggibilità in quanto il comando o distacco di un dipendente pubblico determina una precaria utilizzazione del dipendente stesso presso un soggetto diverso da quello nel cui ordinamento egli è inserito, senza l’effetto di modificarne lo stato giuridico né di costituire con tale diverso soggetto un nuovo o diverso rapporto d’impiego, ma solo di creare nell’impiegato l’obbligo di prestare servizio nell’interesse immediato di un ente diverso (Cass. civ., sez. I, 17 luglio 1987, n. 6292).
g) Il collocamento in aspettativa
L’art. 60 del T.U. dispone quanto segue:
• le cause di ineleggibilità previste dal par. 7 non hanno effetto se l’interessato cessa dalle funzioni per dimissioni, trasferimento, revoca dell’incarico o del comando, collocamento in aspettativa non retribuita non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature (c. 3);
• la pubblica amministrazione è tenuta ad adottare il provvedimento di collocamento in aspettativa non retribuita entro cinque giorni dalla richiesta. Ove l’amministrazione non provveda, la domanda di aspettativa accompagnata dall’effettiva cessazione delle funzioni ha effetto dal quinto giorno successivo alla presentazione (c. 5);
• la cessazione delle funzioni importa l’effettiva astensione da ogni atto inerente all’ufficio rivestito;
• l’aspettativa è concessa, anche in deroga ai rispettivi ordinamenti, per tutta la durata del mandato ai sensi dell’art. 81 del T.U. (c. 6);
• non possono essere collocati in aspettativa i dipendenti assunti a tempo determinato (c. 8).
h) Lavoratori di imprese private temporaneamente utilizzati dal Comune
La Corte di Cassazione (sez. I, 11 marzo 2005, n. 5449) ha ritenuto che il soggetto che al momento della presentazione delle candidature a consigliere comunale (od al momento della surroga di altro consigliere) presta lavoro temporaneo presso il comune, quale “utilizzatore” delle prestazioni dello stesso nell’ambito di un contratto di fornitura di lavoro temporaneo all’ente da un’impresa “fornitrice” delle sue prestazioni, non è dipendente comunale ed è pertanto eleggibile alla carica di consigliere.
i) Dipendente di s.p.a. della quale il comune è unico azionista
La Corte di Cassazione (sez. I, 18 marzo 2006, n. 6082) ha rilevato che dipendente del comune, agli effetti di cui all’art. 60, n. 7, del T.U. n. 267/2000, deve ritenersi chi è collegato all’ente locale da un rapporto d’impiego pubblico o di lavoro privato e può definirsi dipendente dell’ente stesso secondo i criteri individuati dalla giurisprudenza amministrativa ed ordinaria, tra i quali assumono particolare rilevanza i caratteri della subordinazione e dell’inserimento nell’organizzazione amministrativa dell’ente che integrano a pieno la posizione pubblica del dipendente che, di per sé sola, se non tempestivamente abbandonata, giustifica la posizione di ineleggibilità. Da questa premessa la Corte ha fatto derivare il principio che il dipendente di una s.p.a. concessionaria di un servizio od attività per conto del comune e della quale il comune sia azionista, di maggioranza o totalitario, non può essere ritenuto “dipendente del comune”, secondo la definizione utilizzata dall’art. 60, n. 7, atteso che l’esistenza di una società per azioni, soggetto di diritto privato, della quale il Comune è unico azionista, costituisce condizione di per sé sufficiente ad integrare la differenziazione soggettiva e di imputazione dei rapporti giuridici che preclude la possibilità di riferire i rapporti stessi direttamente al comune e di configurare il rapporto di lavoro subordinato con la società come rapporto d’impiego alle dipendenze del comune. La Corte ha infine ritenuto che essendo limitata dall’art. 60, c. 1, n. 10, del T.U., l’ipotesi di ineleggibilità del sindaco e consigliere comunale alle sole posizioni di legale rappresentante e dirigente di s.p.a. con capitale superiore al 50 per cento del comune è da escludere che per questo tipo di soggetto privato possano ipotizzarsi ulteriori cause di ineleggibilità, in particolare nei confronti dei dipendenti qualificandoli, in relazione ai poteri riconosciuti al comune, come dipendenti di quest’ultimo.
l) Dipendenti nominati Assessori nello stesso ente - aspettativa
In conformità al principio affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 3902/2002 relativamente alla posizione degli assessori “esterni”, per il collocamento in aspettativa di coloro che sono dipendenti dell’ente e sono nominati a tali cariche, non si applica la regola stabilita dall’art. 60, comma 3, del D.Lgs. n. 267/2000 ed i tempi della stessa previsti, essendo sufficiente che l’interruzione o cessazione del rapporto di lavoro sia intervenuta all’atto della nomina da parte del sindaco (R.M. Interno 31 luglio 2003). Si veda la sentenza della Corte di Cassazione n. 3902/2002 riassunta nel successivo par. 8.
8)
Il direttore generale, il direttore amministrativo ed il direttore sanitario delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere.
Il direttore generale, il direttore amministrativo ed il direttore sanitario delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere non sono eleggibili a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale nei comuni e nei collegi elettorali nei quali sia ricompreso, in tutto od in parte, il territorio dell’azienda sanitaria locale od ospedaliera presso la quale esercitano le loro funzioni (art. 60, comma 2; Cass. civ., sez. I, 12 dicembre 2002, n. 17810).
L’art. 60, secondo comma, del T.U. stabilisce che le cause di ineleggibilità di cui al numero 8) non hanno effetto se le funzioni esercitate siano cessate almeno centottanta giorni prima della data di scadenza dei periodi di durata degli organi da eleggere. In caso di scioglimento anticipato delle relative assemblee elettive, le cause di ineleggibilità non hanno effetto se le funzioni esercitate siano cessate entro i sette giorni successivi alla data del provvedimento di scioglimento. Il direttore generale, il direttore amministrativo ed il direttore sanitario, in ogni caso, non sono eleggibili nei comuni e nei collegi elettorali nei quali sia ricompreso, in tutto o in parte, il territorio dell’azienda sanitaria locale o ospedaliera presso la quale hanno esercitato le proprie funzioni in un periodo compreso nei sei mesi antecedenti la data di accettazione della candidatura. I predetti, ove si siano candidati e non siano stati eletti, non possono esercitare per un periodo di cinque anni le loro funzioni in aziende sanitarie locali e ospedaliere comprese, in tutto o in parte, nel collegio elettorale nel cui ambito si sono svolte le elezioni.
9)
I legali rappresentanti ed i dirigenti delle strutture convenzionate per i consigli del comune il cui territorio coincide con il territorio dell’Azienda Sanitaria Locale o ospedaliera con cui sono convenzionate o lo ricomprende o dei comuni che concorrono a costituire l’Azienda Sanitaria Locale o ospedaliera con cui sono convenzionate.
a) Direttori sanitari di strutture convenzionate
La Corte costituzionale (6 febbraio 2009, n. 27) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 60, comma 1, n. 9, nella parte in cui prevede l’ineleggibilità dei direttori sanitari delle strutture convenzionate per il consiglio del comune il cui territorio coincide con il territorio dell’azienda sanitaria locale o ospedaliera con cui sono convenzionate o lo ricomprende, ovvero dei comuni che concorrono a costituire l’azienda sanitaria locale o ospedaliera con cui sono convenzionate.
La Corte, riaffermato il principio che il diritto elettorale passivo può essere compresso solo per esigenze costituzionalmente rilevanti, che l’eleggibilità è la regola e la ineleggibilità l’eccezione, ha rilevato che l’art. 60, comma 1, n. 8 ha previsto l’ineleggibilità alle cariche in esame delle tre cariche di vertice delle Aziende sanitarie locali (direttore generale, direttore amministrativo e direttore sanitario), senza estenderla ai direttori sanitari dei singoli presidi ospedalieri pubblici. L’analogia dei compiti e funzioni esistente tra i direttori sanitari di detti presidi pubblici e i direttori sanitari delle strutture private convenzionate non legittima, secondo la Corte, la differenziazione in ordine alla possibilità di accedere alle cariche elettive degli enti locali finora prevista, producendo una disparità di trattamento nella materia dell’elettorato passivo, regolata dall’art. 51 della Costituzione, che non è ragionevole né proporzionata.
b) Titolari di farmacie - Eleggibilità
In conformità a quanto stabilito con sentenza della Cassazione civile (sez. I, n. 10425 del 12 settembre 1992), i titolari di farmacie convenzionate con l’A.S.L. sono eleggibili a sindaco, presidente della provincia, consigliere provinciale, comunale e circoscrizionale.
La Corte costituzionale ha rilevato che le strutture convenzionate alle quali si riferisce la causa di ineleggibilità sono quelle indicate negli artt. 43 e 44 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, che non fanno alcun riferimento ai titolari di farmacie (Corte cost., 16 maggio 1995, n. 162).
c) Inapplicabilità per la carica di consigliere provinciale
Le cause di ineleggibilità previste dal n. 9 dell’art. 60 del T.U. non si applicano per la carica di consigliere provinciale (art. 60, comma 9).
d) Limitazione cariche comunali e circoscrizionali
È stato ritenuto che la causa di ineleggibilità prevista dal n. 9 dell’art. 60 per i legali rappresentanti e dirigenti delle strutture convenzionate con la USL, riguarda esclusivamente i consigli comunali e circoscrizionali dei comuni che si trovino in rapporto territoriale con l’USL di appartenenza e non può essere estesa alla carica di consigliere regionale (Cass. civ. sez. I, 12.12.2011, n. 26532).
10)
I legali rappresentanti ed i dirigenti delle società per azioni con capitale superiore al cinquanta per cento rispettivamente del comune o della provincia.
a) Partecipazione dell’ente locale al capitale di s.p.a.
L’art. 60, c. 1, n. 10 è stato modificato dall’art. 14-decies della legge 17 agosto 2005, n. 168, sostituendo alla partecipazione “maggioritaria” al capitale della società per azioni del comune o delle provincia, che determinava la causa di ineleggibilità, la partecipazione “con capitale superiore al cinquanta per cento”.
b) L’ineleggibilità e l’incompatibilità nell’interpretazione della Corte costituzionale
La Corte costituzionale (sentenza 17 maggio-1° giugno 2006, n. 217) ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 60, c. 1, n. 10 del T.U., sollevata sostenendo che per le cariche elettive per le quali la norma predetta ha stabilito l’ineleggibilità, l’art. 63, c. 1, n. 1 dello stesso T.U. prevede, sussistendo condizioni eguali o analoghe, l’incompatibilità per cui non è giustificato il trattamento difforme che con l’art. 60 comporta la rinuncia preventiva alla carica con la candidatura, mentre con l’art. 63 consente di rimuovere l’incompatibilità dopo l’avvenuta elezione.
La Corte costituzionale ha ritenuto che la disciplina legislativa è diversa e con effetti sostanziali rilevanti (ineleggibilità o incompatibilità) a seconda che si tratti di rappresentanti legali o dirigenti delle società con capitale maggioritario di un ente locale, ovvero di amministratori o dipendenti di organismi (enti, istituti o aziende, comprese, secondo la giurisprudenza, le società per azioni) sottoposti a vigilanza dell’ente stesso o da questo (in via “facoltativa”) finanziati. I primi sono titolari di compiti in persone giuridiche delle quali l’ente locale contribuisce a formare la volontà, tramite la partecipazione azionaria maggioritaria. I secondi sono titolari di compiti in organismi che, invece, sono solo controllati dall’esterno dall’ente locale, tramite la vigilanza o la concessione di sovvenzioni.
Nel primo caso, l’ente locale controlla la società dall’interno: quindi, la norma prescrive una conseguenza giuridica (l’ineleggibilità) intesa a prevenire l’eventualità che il candidato ponga in essere, mediante l’esercizio dei poteri (anche “di influenza”) connessi alla sua carica nella società, indebite pressioni sugli elettori.
Nel secondo caso, il controllo dell’ente locale (attraverso la vigilanza o il sovvenzionamento) riguarda solo l’attività e non la riguarda neppure necessariamente nella sua interezza; pertanto una conseguenza giuridica meno grave (l’incompatibilità), che ha lo scopo di evitare conflitti d’interesse tra gli amministratori o dipendenti dell’ente, istituto o azienda, da una parte, e, dall’altra, l’ente locale che su tali organismi esercita il controllo.
La Corte ha concluso affermando che non risultano comparabili le due fattispecie normative poste a confronto.
c) Poteri di rappresentanza
Per i poteri di rappresentanza nelle società per azioni si veda l’art. 2384 del Codice civile i dirigenti sono individuabili dagli atti societari e dal registro delle imprese.
La Corte di Cassazione si è pronunciata in merito alla posizione degli amministratori e dei dirigenti di società per azioni con capitale degli enti locali con le decisioni che seguono.
d) Consiglio di amministrazione - Appartenenza
L’appartenenza al consiglio di amministrazione di una società per azioni con capitale superiore al 50 per cento dell’ente locale configura la causa di ineleggibilità alla carica di consigliere (sindaco, presidente provincia, assessore) dell’ente stesso di cui all’art. 60, n. 10, del Testo unico n. 267/2000, in quanto l’ivi recepita nozione di “dirigente” non è da intendere nel senso proprio dell’art. 2095 C.C. ed indicativo di una specifica categoria di prestatori di lavoro subordinato, bensì come riferimento alla posizione di quanti concorrono - come coloro che compongono il consiglio d’amministrazione - all’elaborazione delle scelte gestorie e di politica economica della società (Cass. civ., sez. I, 24 marzo 1993, n. 3508; sez. I, 22 febbraio 2000, n. 1922; sez. un. civ., 25 novembre 2003, n. 17981).
Ai fini della sussistenza della causa di ineleggibilità legata alla carica di amministratore di una società per azioni, prevista dall’art. 60, c. 1, n. 10 del T.U.E.L. non è sufficiente la nomina, essendo indispensabile, per la costituzione del rapporto di amministratore, l’accettazione del nominato (Cass. civ., sez. I, 17 ottobre 2006, n. 22280).
e) Società con il comune o la provincia unico socio
È stato ritenuto che l’ineleggibilità stabilita dal n. 10 dell’art. 60 del t.u. per i legali rappresentanti ed i dirigenti delle società con capitale maggioritario del comune o della provincia mira a prevenire una possibile incidenza sulla libertà di voto, tale da arrecare un vulnus alla par condicio con gli altri candidati; secondo un significato solo estensivo della causa di ineleggibilità, pertanto non rileva la forma specifica assunta dalla società di capitali nella cui organizzazione il candidato si trova inserito, nella specie in una società a responsabilità limitata avente come unico socio il comune, deputata all’erogazione di servizi pubblici locali, perché nessuna incidenza ha tale forma legale sul potere d’influenza che l’amministratore della società può esercitare per avvantaggiarsi nella competizione elettorale (Cass. civ., sez. I, 29 agosto 2011, n. 17679).
f) Società consortili
L’art. 60, n. 10 del Testo unico, a norma del quale non sono eleggibili i rappresentanti legali ed i dirigenti delle società per azioni con capitale maggioritario, della provincia e del comune, va inteso nel senso che, nella locuzione “società per azioni” devono ritenersi comprese anche le s.p.a. aventi scopo consortile (Cass. civ., sez. I, 5 settembre 1997, n. 8606).
g) Cessazione della causa di ineleggibilità
La cessazione della causa di ineleggibilità a sindaco, presidente di provincia, consigliere comunale o provinciale costituita dall’essere legale rappresentante o dirigente (nella specie componente del consiglio di amministrazione) di società per azioni con capitale superiore al 50% della provincia o del comune si verifica soltanto per effetto della tempestiva e formale comunicazione delle dimissioni a norma dell’art. 2385 del Codice civile, senza possibilità di rimedi equipollenti, ed in particolare senza che possa, a detto fine, riconoscersi idoneità alla richiesta di aspettativa, che è istituto tipico del dipendente pubblico e la cui menzione nel comma 3 dell’art. 60 del T.U. n. 267/2000 va quindi riferita alle diverse ipotesi di ineleggibilità che il precedente comma dello stesso articolo considera appunto in relazione a tale qualità (Cass. civ., sez. I, 9 luglio 2003, n. 10779).
Ai fini della rimozione della causa di ineleggibilità a sindaco, presidente di provincia, consigliere comunale e provinciale, costituita dall’essere legale rappresentante o dirigente di società per azioni con partecipazione dell’ente al capitale superiore a cinquanta per cento, rileva la tempestività delle dimissioni rassegnate, idonee a determinare l’immediata cessazione della carica una volta pervenute nella sfera di conoscenza dell’organo avente la rappresentanza del consiglio di amministrazione, quando ricorra la prima delle due ipotesi contemplate dall’art. 2385 del Codice civile (“la rinuncia ha effetto immediato se rimane in carica la maggioranza del consiglio di amministrazione”) (Cass. civ., sez. I, 17 ottobre 2006, n. 22280).
11)
Gli amministratori ed i dipendenti con funzioni di rappresentanza o con poteri di organizzazione o coordinamento del personale di istituto, consorzio o azienda dipendente rispettivamente dal comune o dalla provincia.
Le condizioni previste da questa norma hanno limitati riferimenti diretti nella legislazione che ne facilitino l’interpretazione.
È stato ritenuto (Cass. civ., sez. I, 24 luglio 1997, n. 6920) che un soggetto giuridico (nel caso un consorzio per aree di sviluppo industriale) può qualificarsi “dipendente” da un ente territoriale in presenza non di una generica potestà d’indirizzo politico od amministrativo allo stesso spettante, bensì di un più penetrante potere di ingerenza che ponga l’ente nelle condizioni di dirigerlo, assicurando lo svolgimento di attività del tutto conformi alle specifiche prescrizioni impartitegli, di guisa tale che il soggetto dipendente si configura come strumento della volontà direttiva dell’ente sovraordinato, effettivo titolare di quella funzione amministrativa curata in via esecutiva dalla struttura subordinata, che risulta soggetta ad un vero e proprio obbligo di adempimento dei compiti fissatigli.
L’interpretazione della Corte di Cassazione definisce e limita le situazioni nelle quali può ritenersi sussistente il rapporto di dipendenza, al quale fa riferimento la disposizione in esame.
È opportuno esaminare quali possono essere gli istituti, consorzi ed aziende dipendenti dalla provincia o dal comune.
a) Istituti
Per gli “istituti” dipendenti dalla provincia o dal comune viene fatto riferimento ad organismi non previsti dall’art. 2 dell’ordinamento delle autonomie, costituiti dagli enti locali per particolari finalità ovvero acquisiti dagli stessi con il decentramento delle funzioni operato con il D.P.R. n. 616/1977 o con i decreti legislativi di attuazione della legge n. 59/1997. Per la condizione di “dipendenza”, sono le disposizioni dello statuto o del regolamento dell’istituto ed i suoi rapporti finanziari con l’ente locale che ne comprovano e documentano l’esistenza.
b) Consorzi
L’art, 2, comma 186, lett. e) della legge 23 dicembre 2009, n. 191, modificato dall’art. 1 della legge 26 marzo 2010, n. 42, ha disposto la soppressione dei consorzi di funzioni tra enti locali, ad eccezione dei bacini imbriferi montani, a decorrere dal 2011 e negli anni a seguire con effetto dal primo rinnovo del consiglio.
I “consorzi” di servizi sono disciplinati dall’art. 31 del T.U. il quale prevede che l’assemblea del consorzio è composta dai rappresentanti degli enti associati nella persona del sindaco, del presidente della provincia o di un loro delegato, per i quali, essendo la carica obbligatoria per legge, non sussistono motivi di ineleggibilità e di incompatibilità.
12)
I sindaci, presidenti di provincia, consiglieri comunali, provinciali o circoscrizionali in carica, rispettivamente in altro comune, provincia o circoscrizione.
La disposizione esclude il “cumulo” delle cariche in comuni o province diverse che il legislatore ha ritenuto non ammissibile per il principio, stabilito dall’art. 3 del T.U.E.L., di “rappresentanza” della comunità che ha conferito il mandato elettivo e che impegna chi lo consegue a rappresentarla, curarne gli interessi, promuoverne lo sviluppo.
a) Consigliere comunale - Ineleggibilità a sindaco in altro comune - Sussistenza - Rimozione
La Corte di Cassazione (sez. I civ., 20 maggio 2006, n. 11894) ha affermato che è ineleggibile alla carica di sindaco chi è consigliere in carica di altro comune: l’art. 60, comma 1, n. 12 riproduce, con una formula riassuntiva, l’impedimento stabilito dalla normativa previgente al Testo unico. Con l’uso dell’avverbio “rispettivamente” intende non già prefigurare una pedissequa simmetria, quanto alle limitazioni alla eleggibilità, tra cariche identiche (sindaco con sindaco di altro comune, consigliere comunale con consigliere di altro comune), bensì limitare a chi rivesta una carica all’interno dell’organo elettivo l’accesso ad altro organo omologo sia come consigliere che come sindaco, posta l’indiscutibile appartenenza di quest’ultimo al consiglio comunale e la sua partecipazione alle relative funzioni.
b) Condizione di incandidabilità
La Corte di Cassazione civile (sez. I, sentenza 9 aprile 2010, n. 8545) ha ritenuto che il limite alla possibilità di candidarsi come consigliere in più di due province, comuni o circoscrizioni allorché le elezioni si svolgano nella stessa data, posto dall’art. 56 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, si riferisce anche al sindaco, quale componente necessario del Consiglio comunale, come disposto dall’art. 37 del D.Lgs. citato, in considerazione della eadem ratio di impedire che possano concorrere all’esercizio delle funzioni consiliari portatori di interessi confliggenti, che possano compromettere l’imparzialità ed il buon funzionamento, al cui presidio è dettato il principio affermato dall’art. 97 Cost. (fattispecie in cui un cittadino era candidato alla carica di consigliere comunale in due comuni ed alla carica di sindaco in un terzo comune).
La Corte ha pertanto ritenuto prioritaria la condizione di incandidabilità stabilita dall’art. 56, come sopra interpretata, rispetto a quella di ineleggibilità prevista dall’art. 60, n. 12 del testo unico n. 267/2000.
Cap. V
Ineleggibilità per violazione divieto propaganda elettorale
Il “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione”, approvato con il D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 stabilisce all’art. 67, comma 7 che, dal termine per la presentazione delle liste dei candidati e fino alla chiusura delle operazioni di voto, alle persone sottoposte in forza di provvedimenti definitivi alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, è fatto divieto di svolgere le attività di propaganda elettorale previste dalla legge 4 aprile 1956, n. 212, in favore o in pregiudizio di candidati partecipanti a qualsiasi tipo di competizione elettorale.
L’art. 76 del Codice, commi 8 e 9, stabilisce che il contravventore al predetto divieto è punito con la reclusione da uno a cinque anni. La stessa pena si applica al candidato che, avendo diretta conoscenza della condizione di sottoposto in via definitiva alle misure di sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, richiede al medesimo di svolgere le attività di propaganda previste dall’art. 67, comma 7 e se ne avvale concretamente.
La condanna alla pena di reclusione, anche se conseguente all’applicazione della pena su richiesta delle parti, comporta l’interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena detentiva dalla quale consegue l’ineleggibilità del condannato, per la stessa durata della pena detentiva. La sospensione condizionale della pena non ha effetto ai fini dell’interdizione dai pubblici uffici.
Cap. VI
Cause di ineleggibilità - Rimozione
1. Condizioni per la rimozione delle cause d’ineleggibilità
L’art. 60 stabilisce con il terzo, quinto, sesto e settimo comma, le condizioni, procedure e termini per la rimozione delle cause di ineleggibilità dallo stesso previste nei numeri 1), 2), 3), 4), 5), 6), 7), 9), 10), 11) e 12.
Il terzo comma prevede che le cause da tali norme previste non hanno effetto se l’interessato cessa dalle funzioni che le determinano per dimissioni, trasferimento, revoca dell’incarico o del comando, collocamento in aspettativa non retribuita, non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature.
2. Candidati in servizio di pubbliche amministrazioni
Per coloro che sono in rapporto di servizio con le pubbliche amministrazioni, il quinto comma stabilisce che le stesse sono tenute ad adottare i provvedimenti di loro competenza entro cinque giorni dalla richiesta dell’interessato, trascorsi i quali la richiesta s’intende accolta, essendo necessario che la causa di ineleggibilità sia rimossa prima della presentazione della lista dei candidati per non compromettere il diritto di elettorato passivo garantito dall’art. 51 della Costituzione (Corte cost., 5 luglio 1991, n. 309). La richiesta deve essere presentata dall’interessato nei tempi conseguenti e necessari per il decorso di tale termine.
3. Cessazione delle funzioni
La cessazione dell’esercizio delle funzioni, condizione necessaria per la rimozione della causa di ineleggibilità, deve essere effettuata con l’effettiva astensione da ogni atto inerente all’ufficio rivestito, secondo quanto prescrive il sesto comma dell’art. 60.
4. Aspettativa
Il settimo comma dispone che l’aspettativa è concessa dai datori di lavoro pubblici e privati in deroga ai rispettivi ordinamenti, per tutta la durata del mandato, ai sensi dell’art. 81 del Testo Unico.
Non possono essere collocati in aspettativa i dipendenti assunti a tempo determinato.