Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 5 – 27 novembre 2015, n. 5384
Presidente Torsello – Estensore Schilardi
Fatto
1.- In data 25 maggio 2014 si svolgevano nel comune di Pescara le elezioni per il rinnovo del sindaco e del consiglio comunale.
Alla competizione elettorale partecipava il sig. Giancarlo Di Federico in qualità di candidato consigliere, nell'ambito della lista n. 8 denominata "Persone comuni per Pescara".
All'esito dello spoglio delle schede elettorali, al sig. Giancarlo Di Federico venivano assegnati n. 267 voti e al sig. Adamo Scurti voti n. 270, che risultava, pertanto, unico eletto della citata lista n. 8, collegata al sindaco vincente.
1b.- Avverso l'atto di proclamazione degli eletti alla carica di consigliere comunale, il signor Giancarlo Di Federico proponeva ricorso al T.A.R. per l'Abruzzo - sezione distaccata di Pescara, nella parte in cui il seggio era stato attribuito al sig. Adamo Scurti.
Il ricorrente lamentava la mancata assegnazione di n. 3 voti nella sezione n. 97, in quanto il suo nominativo era stato scritto nel rigo corrispondente alla lista "Persone comuni per Pescara" ma il crocesegno risultava apposto sul simbolo della lista n. 17 "Movimento 5 stelle".
Analoga situazione, a suo avviso, si sarebbe verificata nella sezione n. 142, per “almeno uno o due voti disgiunti”, e nella sezione 31 per cinque schede, dove il crocesegno risulterebbe apposto sul simbolo di liste collegate a candidati alla carica di sindaco diversi da quello collegato alla lista n. 8.
Il T.A.R., con ordinanza 419/2014, incaricava la Prefettura di Pescara di procedere alla verificazione delle schede in questione nell’ambito delle sezioni indicate.
All'esito delle operazioni di verificazione nella sezione n. 97 venivano rinvenute tre schede “due delle quali riportano il nome Di Federico sul rigo corrispondente alla lista n. 8, Persone comuni per Pescara, e con segno di croce sul contrassegno della lista n. 17, Movimento 5 Stelle, e la terza che riporta il nome Di Federico sul rigo corrispondente alla lista n. 8, Persone comuni per Pescara, e con segno di croce sul contrassegno della lista n. 17, Movimento 5 Stelle, e sul nome del candidato sindaco Enrica Sabatini”, tutto posto all’interno della busta n. 6, contenente le schede valide votate.
Il T.A.R., con sentenza n. 4, depositata il 2 gennaio 2015, ha rigettato il ricorso, ritenendo che l’attribuzione delle preferenze in favore del ricorrente avrebbe comportato la sottrazione dei voti dalla lista n. 17 "Movimento 5 stelle" per assegnarli alla lista n. 8 "Persone comuni per Pescara", nonostante che il relativo simbolo non fosse stato barrato e, comunque, che l’espressione di voto per una lista diversa da quella a cui appartiene il sig. Giancarlo Di Federico non avrebbe reso possibile l’assegnazione della preferenza in suo favore.
Avverso la sentenza ha proposto appello il sig. Giancarlo Di Federico.
Si è costituito in giudizio il sig. Adamo Scurti che ha chiesto di rigettare l'appello e, contestualmente, ha spiegato appello incidentale.
La causa è stata assunta in decisione all'udienza pubblica del 5 novembre 2015.
Diritto
2.- Il Collegio ritiene che, preliminarmente, vadano esaminate le eccezioni sollevate nell'appello incidentale dal sig. Adamo Scurti, che sostiene che l'appello principale sia inammissibile per violazione dell'art. 104 c.p.a., avendo l'appellante fondato il proprio ricorso su motivi diversi da quelli introdotti in primo grado.
La doglianza non è condivisibile.
Il divieto dei “nova” sancito dall'art. 104, comma 1, del c.p.a. presuppone, infatti, la produzione di censure ulteriori rispetto a quelle proposte, con atti ritualmente notificati, che hanno delimitato il perimetro del thema decidendum in prime cure.
Tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, essendosi l'appellante limitato a confutare le argomentazioni presenti nella sentenza impugnata, per cui l'impugnazione proposta non può essere ritenuta inammissibile.
2b.- Parimenti infondata è la censura avanzata dall'appellante incidentale avverso la decisione del T.A.R., che ha ritenuto ammissibile il ricorso proposto in primo grado dal sig. Di Federico, malgrado egli abbia sostenuto che il ricorso fosse generico e sfornito di prova a sostegno delle doglianze mosse nei confronti dell'operato dell'ufficio elettorale.
Il signor Di Federico, invero, ha precisato la natura del vizio denunziato e cioè l'illegittima sottrazione di "almeno" quattro voti di preferenza espressi in suo favore, quale candidato consigliere della lista "Persone comuni per Pescara", indicando le schede in contestazione e, come evidenziato dal T.A.R., ha fornito elementi concreti per individuare le 4 schede, mentre l'avverbio "almeno" sarebbe da considerare espressione prudenziale, al fine di individuare un numero minimo di schede di cui veniva richiesta la verifica.
Resta fermo, peraltro, che nei giudizi elettorali è consolidato il principio secondo il quale, la specificità dei motivi e l'onere della prova dei fatti contestati sono da considerasi "attenuati in considerazione della obiettiva difficoltà in cui versa chi ha interesse a contestare le operazioni elettorali".
Nel merito, tuttavia, l'appello è infondato e va respinto.
3.- Con il primo motivo di censura l'appellante lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 57 e 64 del D.P.R. n. 570 del 1960, dell'art. 72, comma 3, del D. Lgs. n. 267/2000 e del principio del così detto "favor voti" e del voto disgiunto.
L'appellante contesta che la preferenza espressa per una lista condizioni la possibilità di esprimere anche la preferenza per un candidato di altra lista.
La tesi non può essere condivisa.
Come rappresentato nelle premesse, dall'esame delle tre schede votate nella sezione n. 97, è dato rilevare che due riportano il nome Di Federico sul rigo corrispondente alla lista n. 8 (Persone comuni per Pescara), con segno di croce sul contrassegno della lista n. 17 (Movimento 5 Stelle) e la terza riporta il nome Di Federico sul rigo corrispondente alla lista n. 8 (Persone comuni per Pescara) con segno di croce sul contrassegno della lista n. 17 (Movimento 5 Stelle), e sul nome del candidato sindaco Enrica Sabatini.
Gli elettori hanno, quindi, dato il proprio voto alla lista "Movimento 5 stelle" e nel contempo hanno dato il voto di preferenza ad un candidato di una diversa lista (cioè al sig. Giancarlo Di Federico della lista "Persone comuni per Pescara").
La casistica in parola è prevista e regolata dall'art. 57, comma 7, del T.U. 16 maggio 1960 n. 570, secondo cui "sono inefficaci le preferenze per candidati compresi in una lista diversa da quella votata", per cui le schede recanti il voto per il candidato alla carica di sindaco e il voto di preferenza per un candidato alla carica di consigliere comunale di altra lista devono essere considerate valide per il sindaco e la lista a lui collegata ed inefficaci relativamente al voto di preferenza.
Si tratta di norma tuttora vigente, perché non abrogata (a differenza dei primi tre commi delle stesso articolo del Testo unico) dal sopravvenuto articolo 34 della legge 25 marzo 1993, n. 81.
Priva di riscontro è la tesi dell'appellante, che il voto di preferenza avrebbe un "maggior peso" rispetto al voto di lista, nell'assunto che la preferenza espressa sarebbe valevole non solo come voto al candidato ma anche come voto per la lista.
Come già evidenziato da questa Sezione (cfr. sentenza n. 4069 del 28 luglio 2005) il criterio del così detto "voto disgiunto" rileva unicamente al fine dell'elezione del sindaco, a termini dell'art. 72, comma 3, del D.lgs. n. 267/2000 che regola, appunto, l'elezione del sindaco e non quella del consiglio comunale.
Secondo tale norma l'elettore, una volta scelto il candidato sindaco, può validamente attribuire il voto ad una delle liste collegate al medesimo candidato (in tal caso l'unico voto apposto su una qualunque delle liste implica anche la scelta del candidato sindaco) oppure ad altra che sostenga un diverso candidato sindaco (e in questa diversa evenienza l'elettore apporrà un segno sul rettangolo del candidato sindaco ed un secondo sul simbolo di lista, non collegata, prescelta).
Il voto disgiunto non ha attinenza, invece, con il voto di preferenza, regolamentato, come già accennato, dall'art. 57 del D.P.R. 16. 5. 1960, n. 570 e dall'art. 73 del D.Lgs. n. 267/2000 che, al comma 3, dispone che «ciascun elettore può esprimere ... un voto di preferenza per un candidato della lista da lui votata, scrivendone il nome sull'apposita riga posta a fianco del contrassegno».
Orbene, alla luce delle suddette regole, si può concludere che, nel caso di specie, pur sussistendo un valido voto di lista, non sussiste alcun valido voto di preferenza.
3b.- Come ritenuto dal T.A.R., inconferente è la censura avanzata in primo grado e riproposta in sede di appello, con cui il signor Giancarlo Di Federico sostiene la "scarsa comprensibilità della scheda riguardo alla possibilità per l'elettore di esprimere validamente il voto disgiunto".
La problematica, infatti, coinvolgendo l'intero procedimento elettorale, non è suscettibile di esame nell'instaurato giudizio, anche in relazione al petitum.
4.- Con un ulteriore motivo di censura l'appellante lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 57 e 64 del D.P.R. n. 570 del 1960, dell'art. 72, comma 3, del D.Lgs. n. 267/2000 e del principio così detto "favor voti".
L'appellante sostiene che la sentenza del Tribunale sarebbe errata laddove, a seguito della verificazione effettuata dalla Prefettura, non sarebbe stato a lui assegnato un voto di preferenza, espresso con una scheda rinvenuta nella sezione n. 114, che presenta una croce sul contrassegno della lista n. 5 "P. D. Partito Democratico per Pescara" e una croce sul contrassegno della lista n. 8 "Persone comuni per Pescara" con a fianco la scritta Di Federico.
A prescindere dalla non incidenza di detto singolo voto sul risultato elettorale, tenuto conto di quanto già rappresentato in tema di voto disgiunto non può che osservarsi che il voto espresso è nullo, non essendo possibile comprendere in quali termini l’elettore si sia voluto determinare, avendo espresso la preferenza per un candidato, ma contrassegnando i simboli di due liste diverse.
5.- L'eccezione di nullità ex art. 101 c.p.a. avanzata dal sig. Adamo Scurti, in ordine alla operazioni di verifica delle schede elettorali che, a suo dire, si sarebbero svolte in difetto di contraddittorio, è da ritenersi assorbita per carenza di interesse, a seguito della ritenuta infondatezza dell'appello principale.
6.- Le spese del presente grado di giudizio, per la complessità interpretativa propria della materia del contendere, vanno giustificatamente, compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese del presente grado di giudizio compensate tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
lunedì 7 dicembre 2015
giovedì 26 novembre 2015
Responsabilità medica: la recente giurisprudenza e le questioni più dibattute
Si propone di seguito una rassegna delle principali questioni affrontate dalla recente giurisprudenza, di legittimità e di merito, in materia di responsabilità civile conseguente allo svolgimento di attività medico-chirurgica.
Natura della responsabilità
Il dibattito sulla natura della responsabilità ascrivibile a quanti esercitano una professione sanitaria in caso di danni riportati dai pazienti in cura, che sembrava essersi sopito con l’avvento della teoria del contatto sociale, ha ripreso vigore sul finire del 2012, all’indomani dell’emanazione della legge Balduzzi. Il legislatore, dopo aver coniato una regola concernente i profili penalistici della materia, sancendo l’impunità dell'esercente professione sanitaria che, sebbene versi in colpa lieve, si attenga nello svolgimento della propria attività a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, ha avvertito l’esigenza di chiarire che in tali situazioni «resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile».
I dubbi, riguardanti soprattutto il regime di responsabilità del professionista che eroga le proprie prestazioni terapeutiche in una struttura sanitaria, in assenza di un contratto d’opera stipulato con il paziente su cui interviene, non hanno invero sfiorato la Cassazione. I giudici della legittimità, nella prima occasione in cui hanno avuto modo di prendere posizione sull’impatto della predetta normativa, si sono espressi nel senso che non è dato rinvenire alcuna opzione da parte del legislatore per la configurazione della responsabilità civile del sanitario come responsabilità necessariamente extracontrattuale, dal momento che il ricordato inciso si presta a essere spiegato con l’intento di escludere, nell’ambito aquiliano, l’irrilevanza della colpa lieve (Cass. civ., sez. VI, ord. 17 aprile 2014, n. 8940). Lo stesso concetto è stato reiterato da una successiva pronuncia che ha dichiarato l’applicabilità del criterio del foro del consumatore in una controversia risarcitoria promossa dal paziente del servizio sanitario nazionale nei confronti della struttura sanitaria pubblica in cui gli era stato praticato un intervento chirurgico, eseguito da un medico scelto dal paziente stesso e operante come libero professionista, sebbene nell’espletamento di attività intramuraria (Cass. civ., sez. VI, ord. 24 dicembre 2014, n. 27391).
Si è verificata, invece, una profonda spaccatura in seno alla giurisprudenza di merito, con posizioni non univoche persino tra magistrati dello stesso Tribunale, sul significato da attribuire alla cennata innovazione legislativa. Svariate pronunce hanno desunto dal riferimento all’art. 2043 c.c. una chiara e decisa presa di posizione in favore della tesi che riconduce la responsabilità risarcitoria del medico del medico operante all’interno di una struttura sanitaria nell’alveo della responsabilità da fatto illecito, con tutto ciò che ne consegue in tema di riparto dell’onere della prova e di termine di prescrizione, ferma restando la natura contrattuale della responsabilità della struttura medesima (Trib. Milano, 30 ottobre 2014; Trib. Milano, 17 luglio 2014; Trib. Milano, 14 giugno 2014; Trib. Enna, 18 maggio 2013, Trib. Torino, 26 febbraio 2013; Trib. Varese, 26 novembre 2012). Altre voci giurisprudenziali hanno, per contro, sostenuto che il richiamo alla norma fondamentale in tema di illecito aquiliano non sia sufficiente a concludere che la volontà del legislatore sia stata quella di modificare il titolo della responsabilità medica (Trib. Milano, 18 novembre 2014; Trib. Cremona, 1° ottobre 2013; Trib. Arezzo, 15 febbraio 2013; nonché Trib. Brindisi 18 luglio 2014, dove si precisa che, anche a voler opinare diversamente, per un verso, l’ipotetica svolta legislativa non avrebbe valenza retroattiva e, per altro verso, il suo carattere circoscritto determinerebbe un’incidenza sulla sola responsabilità medica per colpa lieve e non anche su quella per colpa grave o dolo, senza possibilità di estenderla alla responsabilità della struttura sanitaria).
Ricostruzione del nesso causale
Nei giudizi risarcitori promossi da chi lamenti un pregiudizio derivante dall’attività medica, è da ritenersi ormai un dato acquisito che l’accertamento del rapporto di causalità debba compiersi secondo il criterio della preponderanza dell’evidenza. Posto che l’affermazione della riferibilità causale del danno all’ipotetico responsabile presuppone una valutazione nei termini di «più probabile che non», è dunque corretto l’operato del giudice che ignori l’esito della consulenza tecnica d’ufficio, la quale pure di norma nell’ambito della responsabilità medico-chirurgica presenta natura «percipiente», quando essa formuli una valutazione sull’efficienza eziologica della condotta del sanitario, oppure della struttura dove quest’ultimo opera, rispetto all’evento di danno come «meno probabile che non» (Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 2014, n. 22225). Peraltro, qualora l’azione o l’omissione siano in se stesse concretamente idonee a determinare l’evento, il difetto di accertamento del fatto astrattamente idoneo a escludere il nesso causale tra condotta ed evento non può essere invocato, benché sotto il profilo statistico quel fatto sia «più probabile che non», da chi quell’accertamento avrebbe potuto compiere e non l’abbia, invece, effettuato (Cass. civ., sez. III, 9 giugno 2011, n. 12686; Cass. civ., sez. III, 17 febbraio 2011, n. 3847, con cui è stata confermata la sentenza di merito che aveva ritenuto sussistere un nesso di causalità tra la condotta dei medici, i quali avevano ritardato l’esecuzione di un parto cesareo, e la grave asfissia del neonato, reputando irrilevante la pur elevata probabilità statistica che l’asfissia cerebrale potesse avere avuto origine fisiologica in base all’assunto per cui, per escludere con certezza il nesso di causalità tra l’evento e la condotta del sanitario, si sarebbe dovuto disporre di un tracciato cardiotocografico, che i medici stessi avevano però omesso di eseguire nell’imminenza del parto).
Nondimeno, si è specificato che, ove l’azione risarcitoria sia stata promossa in sede penale e sia stato accolto il ricorso per cassazione della parte civile avverso una sentenza di assoluzione del medico, nel conseguente giudizio civile l’accertamento del nesso causale tra la condotta omessa e l’evento verificatosi va svolto facendo applicazione della regola di giudizio propria del giudizio penale, ossia quella della ragionevole, umana certezza dell’esito salvifico delle condotte omesse, alla stregua delle informazioni sull’ordinario andamento della patologia riscontrata e delle peculiarità del caso concreto (Cass. pen., sez. IV, 10 febbraio 2015, n. 11193).
I giudici della legittimità hanno altresì puntualizzato che, nel contesto in esame, l’impiego dello standard di certezza probabilistica comporta che la valutazione in ordine all’idoneità della condotta del sanitario a cagionare il danno lamentato dal paziente debba essere correlata alle condizioni del medesimo, nella loro irripetibile singolarità (Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 2015, n. 3390, che ha ritenuto immune da vizi logici la decisione con cui il giudice di merito aveva affermato la responsabilità di una struttura sanitaria, in relazione alla paralisi degli arti inferiori subita da un paziente sottoposto a un intervento di trombectomia, per essere stato omesso un trattamento preventivo a base di eparina, sebbene lo stesso non fosse previsto da alcun protocollo, ma solo raccomandato in via precauzionale nella letteratura scientifica perché in astratto idoneo a prevenire tale complicanza, considerata l’oggettiva gravità del rischio, sul piano causale, a carico del paziente per le sue particolari condizioni personali, trattandosi di soggetto fumatore, affetto da diabete e, verosimilmente, da vascolopatia).
Uno specifico profilo oggetto di discussione negli ultimi anni è stato quello riguardante l’incidenza sulla responsabilità ascrivibile al medico delle concause naturali, tra le quali va annoverata la sussistenza di uno stato patologico pregresso del paziente. Si era, infatti, prospettata la possibilità che il giudice del merito, in sede di accertamento del nesso eziologico tra condotta ed evento, procedesse alla specifica identificazione della parte di danno rapportabile al fattore naturale o alla causa umana, eventualmente mediante il criterio equitativo, con la conseguente graduazione o riduzione proporzionale dell'obbligo risarcitorio del professionista (Cass. civ., sez. III, 16 gennaio 2009, n. 975). Tale svolta è stata in seguito ridimensionata, affermandosi che, a fronte di una sia pur minima incertezza sulla rilevanza di un eventuale contributo concausale di un fattore naturale (quale che esso sia), non è ammesso, sul piano giuridico, affidarsi a un ragionamento probatorio semplificato, tale da condurre ipso facto a un frazionamento delle responsabilità in via equitativa, con relativo ridimensionamento del quantum risarcitorio; tuttavia, sul piano della relazione tra l’evento di danno e le singole conseguenze dannose risarcibili all’esito prodottesi, è concepibile l’addebito all’autore della condotta, responsabile tout court sul piano della causalità materiale, di un obbligo risarcitorio che non si estenda anche alle conseguenze dannose non riconducibili eziologicamente all’evento di danno, bensì determinate dalla pregressa situazione patologica del danneggiato che, a sua volta, non sia riconducibile a negligenza, imprudenza e imperizia del sanitario (Cass. civ, sez. III, 21 luglio 2011, n. 15991; a tale pronuncia si è ispirata Cass. civ., sez. III, 6 maggio 2015, n. 8995, che ha confermato la decisione con cui il giudice di merito, in relazione al danno celebrale patito da un neonato, aveva posto l’obbligo risarcitorio interamente a carico della struttura sanitaria in cui egli era stato ricoverato immediatamente dopo il parto, avvenuto altrove, e presso la quale aveva contratto un’infezione polmonare, sebbene le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio non avessero escluso la possibilità che un contributo concausale al pregiudizio lamentato fosse derivato da una patologia sviluppata in occasione della nascita; nonché, tra le decisioni di merito, Trib. Firenze, 16 giugno 2014).
Sempre nell’ottica della dimostrazione del nesso causale tra l'operato del medico e il danno patito dal paziente, può assumere rilievo anche l’incompletezza della cartella clinica, a condizione che proprio le riscontrate lacune abbiano reso impossibile l’accertamento del legame eziologico e che il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a cagionare il danno (Cass. civ., sez. III, 12 giugno 2015, n. 12218).
Responsabilità della casa di cura, del centro medico e dell’azienda sanitaria
È costante l’affermazione secondo cui l’accettazione del paziente in una struttura deputata a fornire assistenza sanitario-ospedaliera, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto di prestazione d’opera atipico di spedalità, in base alla quale la struttura n questione è tenuta a una prestazione complessa, che non si esaurisce nell'effettuazione delle cure mediche e di quelle chirurgiche, generali e specialistiche, ma si estende a una serie di altri aspetti, quali la messa a disposizione di personale medico ausiliario e di personale paramedico, di medicinali e di tutte le attrezzature tecniche necessarie, nonché a prestazioni lato sensu alberghiere. Inoltre, l’ospedale e la casa di cura sono tenuti a una prestazione strumentale e accessoria, avente ad oggetto la salvaguardia del paziente, onde difenderlo quantomeno dalle forme più gravi di aggressione ed evitare che quest’ultimo infligga danni a terzi (Cass. civ., sez. III, 18 settembre 2014, n. 19658; la circostanza che il paziente sia capace di intendere o di volere, ovvero il fatto che non sia soggetto ad alcun trattamento sanitario obbligatorio, non esclude il suddetto obbligo, ma può incidere unicamente sulle modalità del suo adempimento, come ha chiarito Cass. civ., sez. III, 22 ottobre 2014, n. 22331).
Siffatto inquadramento comporta l’assoggettamento della struttura presso la quale ha avuto luogo il trattamento sanitario contestato alla regola dettata dall’art. 1228 c.c., di modo che la struttura medesima risponde dell’inadempimento della prestazione professionale svolta dal medico, quale ausiliario necessario dell’organizzazione aziendale, pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato (Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2012, n. 10616). Recentemente si è riconosciuto che il regime di responsabilità per fatto degli ausiliari è applicabile anche nei confronti del centro medico che, seppure non paragonabile a una casa di cura, non si sia limitato a mettere a disposizione i locali per l’espletamento dell’attività sanitaria, ma abbia altresì tenuto i contatti con i clienti, occupandosi della percezione delle somme che venivano poi girate ai singoli professionisti al medesimo facenti capo (Cass. civ., sez. III, 30 settembre 2015, n. 19541).
Quanto alla posizione dell’azienda sanitaria locale, nei suoi confronti si è giunti a configurare il sorgere dell’obbligazione risarcitoria anche a fronte dell’illecito commesso da un medico con essa convenzionato, che abbia eseguito prestazioni curative siano comprese tra quelle assicurate e garantite dal servizio sanitario nazionale in base ai livelli stabiliti dalla legge (Cass. civ, sez. III, 27 marzo 2015, n. 6243).
Si è posto anche il problema di stabilire quali ricadute abbia sulla struttura sanitaria la transazione intercorsa tra il danneggiato e il medico ivi operante. Al riguardo, nell’eventualità in cui sia stata instaurata una causa in cui la domanda risarcitoria attingeva soltanto l’operato del medico e non anche i profili strutturali e organizzativi della struttura sanitaria, la definizione della lite tra medico e danneggiato, con conseguente declaratoria di cessata materia del contendere, impedisce la prosecuzione dell’azione nei confronti della struttura sanitaria, dal momento che questa è convenuta in giudizio esclusivamente per fatto altrui (Cass. civ., sez. III, 28 luglio 2015, n. 15860). In altre circostanze la struttura sanitaria potrebbe approfittare della transazione secondo le regole previste per le obbligazioni solidali; sennonché ciò non può avvenire quando tra il danneggiato e il medico sia stata raggiunta una transazione parziale, eventualmente accompagnata da un pactum de non petendo nei confronti del professionista (Cass. civ., sez. III, 30 settembre 2015, n. 19541).
Consenso informato
Nella giurisprudenza di legittimità si sono registrati significativi sviluppi circa il consenso informato e le conseguenze della sua mancata acquisizione.
Da ultimo, la Suprema Corte, muovendo dall’assunto che il medico viene meno all'obbligo di fornire un’idonea ed esaustiva informazione al paziente non solo quando omette del tutto di riferirgli della natura della cura prospettata, dei relativi rischi e delle possibilità di successo, ma anche quando ne acquisisca con modalità improprie il consenso, ha cassato la pronuncia che aveva negato risarcimento dei danni a derivanti da un intervento chirurgico effettuato, oltre che come convenuto al ginocchio destro menomato in conseguenza di caduta su pista da sci, anche a quello sinistro, non lesionato; il ragionamento dei giudici di merito risultava infatti carente, per non aver spiegato come mai, avendo ricevuto dal paziente il consenso scritto per l'operazione al ginocchio destro, il chirurgo si sia indotto a operare anche quello sinistro, sulla base di un consenso asseritamente acquisito verbalmente dal paziente, che oltretutto nel caso di specie non conosceva nemmeno l'italiano (Cass. civ, sez. III, 29 settembre 2015, n. 19212).
Una divergenza di opinioni sembra delinearsi quanto all’ampiezza dell’obbligo informativo. Da un lato si collocano le decisioni secondo cui il consenso informato va acquisito anche qualora la probabilità di verificazione dell’evento sia così scarsa da essere prossima al fortuito o, al contrario, sia così alta da renderne certo il suo accadimento, dal momento che la valutazione dei rischi appartiene al solo titolare del diritto esposto e il professionista o la struttura sanitaria non possono ometterle in base ad un mero calcolo statistico (Cass. civ., sez. III, 19 settembre 2014, n. 19731). Su diversa posizione si attestano coloro che, pur imponendo al medico di fornire paziente, in modo completo ed esaustivo, tutte le informazioni scientificamente possibili riguardanti le terapie che intende praticare o l’intervento chirurgico che intende eseguire, con le relative modalità ed eventuali conseguenze, sia pure infrequenti, introducono il limite dei rischi imprevedibili, ovvero degli esiti anomali, al limite del fortuito, che non assumono rilievo secondo l’id quod plerumque accidit, in quanto, una volta realizzatisi, verrebbero comunque a interrompere il necessario nesso di casualità tra l’intervento e l’evento lesivo (Cass. civ., sez. III, 11 dicembre 2013, n. 27751).
La mancata acquisizione del consenso informato, nella misura in cui pregiudica il diritto del paziente all’autodeterminazione delle scelte terapeutiche, cagiona un danno distinto da quello scaturito dall’erronea esecuzione dell’intervento terapeutico, di talché ciascuno dei pregiudizi in esame è suscettibile di autonomo ristoro (Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 2015, n. 2854, che, in forza di tale principio, ha cassato la decisione con cui il giudice di merito aveva ritenuto assorbito, nel risarcimento del danno da mancata acquisizione del consenso informato, anche il pregiudizio cagionato da un ortopedico per avere imprudentemente sottoposto a intervento di artroscopia un paziente affetto da gotta, esponendolo al rischio, poi effettivamente concretizzatosi, di riacutizzazione flogistica). Questa differenziazione si ripercuote sul piano processuale, nella misura in cui deve ritenersi preclusa, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., la proposizione nel giudizio di appello, per la prima volta, della domanda risarcitoria diretta a far valere la colpa professionale del medico nell’esecuzione di un intervento, dopo che in primo grado l’azione si era imperniata soltanto sulla mancata prestazione del consenso informato (Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2013, n. 11950).
Nella giurisprudenza di merito, si è ribadito che, al di fuori dei casi di trattamento sanitario obbligatorio per legge o in cui ricorra uno stato di necessità, in assenza del consenso informato, l’intervento del medico si reputa senz’altro illecito, anche quando è realizzato nell’interesse del paziente; nella medesima decisione la risarcibilità del danno da lesione della salute, che si verifichi per le non imprevedibili conseguenze di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito, ma effettuato senza la preventiva informazione del paziente, viene subordinata all’accertamento che quest’ultimo, se fosse stato adeguatamente informato, avrebbe rifiutato quel determinato intervento (Trib. Milano, 31 gennaio 2014).
Obblighi del primario
Diverse pronunce si sono occupate in modo specifico degli obblighi gravanti sui medici chiamati a dirigere un reparto o sui loro più stretti collaboratori.
Al primario si ascrive la responsabilità per i danni derivati dall’inadeguatezza della struttura sanitaria da lui guidata, ove non dimostri di aver adempiuto a tutti gli obblighi che gli impone la legge, tra i quali rientra quello di acquisire informazioni sulle condizioni dei malati e di predisposizione di adeguate istruzioni al personale per le emergenze (Cass. civ., sez. III, 22 ottobre 2014, n. 22338). Oltre ad acquisire la conoscenza delle situazioni cliniche riguardanti i degenti –il che può avvenire sia tramite una visita diretta, sia mediante interpello degli altri operatori sanitari– il primario è obbligato ad assumere informazioni precise sulle iniziative intraprese dagli altri medici cui il paziente sia stato affidato, indipendentemente dalla responsabilità degli stessi, al fine di vigilare sull’esatta impostazione ed esecuzione delle terapie, di prevenire errori e di adottare tempestivamente i provvedimenti richiesti da eventuali emergenze (Cass. civ., sez. III, 29 novembre 2010, n. 24144). Non essendo tuttavia configurabile una responsabilità oggettiva a carico del primario, quest’ultimo non può essere chiamato a rispondere, semplicemente per il ruolo che ricopre, delle lesioni subite da un paziente che era stato ricoverato e sottoposto a un intervento mentre egli era in ferie (Cass. civ., sez. III, 31 marzo 2015, n. 6438).
Utili indicazioni circa gli obblighi gravanti sul primario e su quanti lo assistono provengono anche da recenti decisioni rese dalla Suprema Corte in procedimenti penali. Per un verso, si è affermato che il primario non può invocare l’esonero dalla responsabilità confidando che altri provveda a correggere il proprio errore (Cass. pen., sez. IV, 31 gennaio 2014, n. 4985); per altro verso, si è escluso che, nell’ipotesi di intervento chirurgico effettuato direttamente dal primario, degli eventuali errori manuali da lui commessi nel corso dell’intervento stesso possano essere chiamati a rispondere anche coloro che vi abbiano partecipato in qualità di aiuto o di assistente (Cass. pen., sez. III, 12 dicembre 2013, n. 5684).
Per quel che concerne l’aiuto primario, si è posto l’accento sul fatto che la sua condotta non può dirsi corretta ove egli rifiuti di eseguire un intervento chirurgico urgente, in caso di assenza o impedimento del primario (Cass. civ., sez. III, 16 aprile 2015, n. 7682, che ha confermato la decisione con cui il giudice di merito ha ravvisato la responsabilità di un aiuto primario di ostetricia che, accertato il grave stato di sofferenza del feto sulla base delle inequivocabili risultanze dell’esame del tracciato cardiotocografico e di quello amnioscopico, a dispetto dell’estrema urgenza dell’intervento, ometteva di procedere, in attesa dell’arrivo del primario, all’esecuzione del parto cesareo, di per sé eseguibile anche da un solo medico con l’ausilio di uno strumentista).
venerdì 20 novembre 2015
Esame Avvocato 2015: utili consigli per le prove scritte
Riportiamo di seguito alcuni “trucchi del mestiere” e le strategie per poter risolvere i casi, per mezzo dell’utilizzo dei codici e di uno studio mirato.
01. CONSIGLI PRATICI OLTRE LA PREPARAZIONE
Le prove scritte di esame non si svolgono in un ambiente sterile o che favorisce la meditazione e la riflessione. Al contrario, le condizioni ambientali sono spesso ostili: poca illuminazione, temperatura inadeguata, piani di lavoro che a volte si riducono a sedie con una ribalitina costituiscono eventi tutt’altro che rari nelle sedi di Corte di appello ove si tengono le sessioni d’esame. Oltre a ciò, va considerato che l’esame si svolge in sale che normalmente contengono centinaia di persone, con tutto quello che ne consegue in termini di confusione o difficoltà a trovare la giusta concentrazione. Anche questo è un aspetto che deve essere considerato ed affrontato dal candidato allenato, il quale deve sapersi imporre in via preventiva una certa autodisciplina mentale per raggiungere comunque, anche in condizioni difficili, un elevato standard di rendimento. Questo risultato potrà essere favorito anche dall’adozione di alcuni semplici accorgimenti come, ad esempio, tappi per le orecchie, per isolarsi dall’ambiente circostante, e l’assunzione di cibi adeguati, per tenere alto il livello di attenzione e le risposte del fisico.
02. COME SFRUTTARE AL MASSIMO I CODICI COMMENTATI
Un altro fattore di particolare importanza consiste nell’abilità con cui si adopera il codice commentato. Un buon codice commentato aiuta quasi sempre in modo significativo, se non decisivo, per la soluzione del caso oggetto del parere, purché si abbia la pazienza della consultazione e, soprattutto, la capacità di individuare gli articoli da consultare.
Dinanzi al caso, quindi, vanno individuati, innanzitutto, gli istituti giuridici che sono coinvolti. Se, ad esempio, si tratta di un contratto tipico, occorre leggere e meditare tutti gli articoli che disciplinano quel determinato contratto. Se si tratta, invece, di un contratto atipico, diviene necessario analizzare la disciplina del contratto tipico, il cui schema è più prossimo (ad esempio, leasing e vendita con riserva della proprietà: in questo caso, si vedrà come, sotto la norma dell’art. 1526 c.c., si rinvengono preziose indicazioni circa la risoluzione per inadempimento del contratto di leasing). Un particolare ausilio nella individuazione delle norme e degli istituti giuridici rilevanti è dato, oltre che dal richiamo che ciascuna norma fa ad altre norme del codice o ad altre fonti normative, dall’indice analitico-alfabetico posto alla fine del codice commentato. Detto indice consente, infatti, di individuare agevolmente le norme relative all’argomento ricercato.
Una volta trovate le norme di interesse, la lettura del commento delle stesse è facilitata dalla sua suddivisione in distinti paragrafi, che riordinano in modo sistematico le massime giurisprudenziali relative alla norma. Le specifiche problematiche giuridiche sono individuabili tramite la ricerca delle parole chiave evidenziate in neretto. Va infine ricordato che il commento alle prime norme di ciascun istituto contiene, nelle battute iniziali, massime giurisprudenziali che riassumono i tratti essenziali dell’istituto, circostanza di particolare utilità nella redazione dei c.d. «brevi cenni». Sovente, inoltre, i commenti a ciascuna norma od istituto giuridico si chiudono con un paragrafo dedicato alla particolare casistica.
03. COME AFFRONTARE L'ESAME: LA BELLA COPIA
E' difficile, ovviamente, stabilire la «dimensione ottimale» di un elaborato. In ogni caso, la sintesi – intesa come assenza di argomenti inutili, di ripetizioni, di giri di parole – è una qualità dello scritto generalmente apprezzata. Ciascun candidato si augura che l’esaminatore sia comprensivo in sede di correzione. Un modo efficace per ben disporre l’esaminatore consiste nell’alleviare la fatica del leggere: la qual cosa presuppone, evidentemente, una grafia chiara o, quanto meno comprensibile.
Al candidato devono essere chiari i seguenti punti:
a) l’elaborato scritto deve essere chiaro e intellegibile, sia nella sostanza sia nella forma;
b) per quanto riguarda la sostanza, ogni affermazione deve avere una premessa da cui scaturisce logicamente e deve risultare adeguatamente motivata;
c) per quanto concerne la forma, è fondamentale scrivere con una grafia chiara e comprensibile, utilizzando una forma lineare ed
evitando periodi e fraseggi eccessivamente lunghi e complicati. Assolutamente da evitare le frasi incidentali;
d) tra le varie parti dell’elaborato vi deve essere equilibrio.
Il candidato dovrà svolgere le premesse generali sugli istituti giuridici, cui si riferisce il caso, se ciò è espressamente richiesto dalla traccia, facendo attenzione a non essere prolisso ed a non trattare specifici aspetti che non siano rilevanti per la risoluzione del caso prospettato. Dopo le premesse, andranno riportate le problematiche, dalla cui trattazione discende la soluzione del caso concreto. Se la soluzione della questione non è pacifica, occorrerà cercare – nei limiti in cui si sia in grado di farlo – di esporre gli argomenti in favore e contro le rispettive tesi. Infine, occorrerà illustrare sinteticamente la soluzione.
04. LE TRE PROVE SCRITTE: COME AFFRONTARLE AL MEGLIO
Il segreto per una buona riuscita della prova scritta sta anche nella capacità del candidato di distribuire bene il tempo a sua disposizione: sette ore per ciascuna delle tre prove scritte.
Ecco una distribuzione ottimale. La prima ora dovrebbe essere utilizzata per:
- leggere con attenzione ed analizzare le 2 tracce proposte (che diventano 3 nel caso dell’atto giudiziario);
- scegliere quella che, pur apparendo eventualmente più complessa, implica lo svolgimento su una materia meglio conosciuta;
- effettuare l’inquadramento del caso ed individuarne la possibile soluzione;
- redigere una scaletta degli argomenti, che saranno svolti, e dei riferimenti (normativi, dottrinali e giurisprudenziali) da richiamare.
Nelle successive sei ore si passa alla materiale redazione dell’elaborato (parere o atto), se possibile, direttamente ‘‘in bella’’, sviluppando e integrando la scaletta in precedenza predisposta (nel caso di grafia difficilmente leggibile, il candidato deve riservarsi il tempo necessario, non inferiore ad un’ora, per copiare l’elaborato in ‘‘bella’’).
In ogni caso, occorre tener presente che nelle ultime due ore si è di regola abbastanza stanchi, e, pertanto, non in grado di affrontare compiti gravosi: circostanza questa che sconsiglia di rimandare a tale momento la trattazione dei punti più complessi dell’elaborato.
05. LA SCELTA DELLA TRACCIA
La facoltà di scegliere il parere motivato fra 2 questioni e l’atto giudiziario fra 3 quesiti costituisce per i candidati una opportunità preziosa e deve essere esercitata, entro un termine ragionevole, tenendo conto sia della propria preparazione, sia delle esercitazioni in concreto effettuate durante il biennio di tirocinio.
L’esame della traccia scelta
Scelta la traccia, occorre esaminarne con attenzione il testo, leggendolo almeno 2 volte per assicurarsi di averne ben compreso il senso.
Esaminare attentamente la traccia significa non soltanto dare peso alle singole parole utilizzate ed ai periodi incidentali (che spesso apportano ulteriori elementi di valutazione), ma anche effettuare una analisi corretta dei fatti in essa esposti, necessaria per passare ad una individuazione corretta delle questioni di diritto.
Una comprensione travisata dei fatti indicati nella traccia — della quale ci si accorga tardi o addirittura al termine della prova — pregiudica lo svolgimento dell’elaborato o addirittura ne rende impossibile la rielaborazione.
06. L’utilizzo dell’indice analitico del codice, dei richiami normativi e delle note
Per l’analisi della traccia, è necessario soprattutto ‘‘saper usare i codici’’. Questi sono generalmente integrati da un indice analitico-alfabetico, in cui le singole norme sono raggruppate sotto singole voci relative ai vari istituti e disposte in ordine alfabetico.
L’indice riporta, sotto ogni voce, tutti gli articoli del codice che ad essa si riferiscono.
Richiami normativi
Inoltre, i singoli articoli del testo sono spesso integrati con i richiami (effettuati tra parentesi) di altri articoli dello stesso codice o di altri codici: i richiami intertestuali stanno a significare che l’argomento o il concetto contenuto in un determinato articolo è anche trattato nell’articolo indicato tra parentesi.
Ad esempio, se oggetto della prova è il contratto con obbligazioni a carico del solo proponente, l’indice analitico di qualsiasi codice riporta generalmente il riferimento agli artt. 1333 e 1468 c.c.; e, consultando detti articoli, è possibile trovare un richiamo agli artt. 1803, 1813 e 1987 c.c. (ciò indica un certo collegamento con il contratto di mutuo e di comodato, tradizionalmente considerati contratti con obbligazioni a carico del solo proponente, nonchè con la promessa unilaterale).
Note di richiamo
Anche le note di richiamo, per lo più poste in calce ad ogni norma, possono essere assai utili per far ricordare concetti e nozioni (e, talvolta, possono anche suggerire parti del compito).
La consultazione dell’indice analitico e l’esame dei richiami normativi e delle note — proprio perchè offrono spunti significativi per l’individuazione degli argomenti da trattare e della struttura da dare al compito — costituiscono un valido supporto per la predisposizione della scaletta.
L’ideale è portare all’esame almeno due codici, compilati da autori diversi e annotati con la giurisprudenza, al fine di poter utilizzare indici, note e richiami diversi, nonchè massime di sentenze diverse.
07. La predisposizione della scaletta
Punto di partenza per la redazione della prova scritta è la classica ‘‘scaletta’’, cioè un appunto, nel quale vanno sinteticamente indicati i diversi argomenti, tra loro coordinati, che si intende svolgere, nonché i riferimenti normativi corrispondenti agli istituti giuridici che si intende trattare.
La scaletta rimane sempre e soltanto uno schema pro memoria, che agevola il lavoro del candidato, ricordandogli gli argomenti da svolgere ed aiutandolo a non andare ‘‘fuori traccia’’: può essere eventualmente modificata o integrata durante la redazione dell’elaborato.
Occorre stare attenti nel raccogliere le voci che circolano nell’aula di esame:
- sia perché spesso si tratta di notizie imprecise o addirittura errate che possono confondere
- sia perché, più semplicemente, si potrebbe rischiare di concentrarsi su un singolo aspetto, oggetto della ‘‘voce’’, sottovalutando il materiale già autonomamente raccolto e perdendo di vista la struttura complessiva dell’elaborato.
08. La redazione dell’elaborato
La comprensibilità dell’elaborato — sotto il profilo della grafia, della grammatica e della sintassi — costituisce il primo criterio di valutazione dei commissari. Ne consegue che il primo accorgimento del candidato deve essere quello di cercare di scrivere in forma chiara e scorrevole e con grafia facilmente leggibile: l’esigenza di interrompere continuamente la lettura, per soffermarsi su parole indecifrabili o su espressioni contorte, infastidisce (e, talvolta, irrita) i commissari ed impedisce loro di seguire il filo del ragionamento svolto nel compito.
Le varie parti dell’elaborato devono essere espresse con un periodare semplice (senza troppi incisi o subordinate); la trattazione dei singoli argomenti giuridici deve essere il più possibile incisiva; le ripetizioni vanno evitate; la sequenza dei periodi deve essere rispettosa della logica (grammaticale e giuridica).
Non va mai dimenticato che ogni commissione esaminatrice è composta da esperti (avvocati, magistrati e docenti universitari), che sono tenuti a leggere centinaia di compiti in tempi relativamente ristretti: il miglior modo di presentarsi è quello di esporre — con una grafia chiara o, quanto meno, comprensibile (che alleggerisca la fatica del leggere) — uno sviluppo ragionato, logico e consequenziale degli argomenti.
L’elaborato di esame non deve contenere segni di identificazione, né l’apposizione di segni in luogo delle parole (ad es., ‘‘x’’ in luogo di ‘‘per’’; ‘‘+’’ in luogo di ‘‘più ’’).
Nella redazione dell’elaborato, che costituisce il nucleo centrale di ciascuna delle 3 prove scritte, assumono una importanza determinante (anche maggiore della stessa preparazione teorica) il metodo di disamina delle questioni giuridiche e la tecnica di redazione.
La copiatura dell’elaborato
Qualora la prima stesura dell’elaborato non risulti immediatamente comprensibile, entro le 7 ore concesse, conviene copiare l’elaborato, con particolare attenzione alla grafia ed alla sintassi, per rendere più agevole il compito della commissione, che non può e non deve incontrare difficoltà di lettura e di comprensione del compito scritto.
I candidati hanno l’obbligo di usare esclusivamente carta munita del sigillo della commissione e della firma del presidente o di un commissario da lui delegato, ma non hanno anche l’obbligo di riconsegnare tutti i fogli ricevuti, anche se non utilizzati.
Pertanto, in linea di principio, la consegna della minuta è una facoltà (e non un obbligo) del candidato, che, di volta in volta, potrà decidere se esercitarla o meno. È preferibile consegnare anche la minuta in tutti i casi in cui gli elaborati siano stati scritti con una grafia non facilmente comprensibile ovvero siano stati frettolosamente ricopiati, con il rischio di errori od omissioni.
In ogni caso, l’elaborato di esame va consegnato con calma, senza far ressa, osservando attentamente le modalità previste: in particolare, conviene chiudere, dapprima, la busta grande con l’elaborato e, poi, quella piccola con le proprie generalità : potrebbero verificarsi, infatti, incresciosi incidenti di scambio di nomi, che vanificherebbero tutto il lavoro fino a quel momento faticosamente svolto dal candidato diligente.
09. La gestione del tempo
Il profilo di maggiore criticità nelle prove scritte è rappresentato dal tempo a disposizione del candidato: sette ore rappresentano uno spazio cronologico minimo per lo svolgimento di tutte le attività che sono richieste al candidato e, dunque, è assolutamente necessario che esse siano sfruttate al meglio.
Razionalizzazione del tempo
Primo passo è razionalizzare il tempo.
Occorre eliminare i passaggi e le attività che, molto spesso, determinano uno spreco inutile del poco tempo a disposizione, tra cui , molto comune, quello determinato dalla decisione di cambiare la traccia scelta: questione che, in astratto, dovrebbe porsi solo in ambito di redazione del parere (poiché solo con riguardo ad esso vengono assegnate due tracce tra cui scegliere nella medesima materia).
Sempre più spesso capita di sentire di candidati che, in corso di svolgimento dell’atto, cambiano traccia, e dunque materia, passando dall’atto di diritto civile a quello di diritto penale o di diritto amministrativo e viceversa: poche cose, in sede di esame, sono tanto deleterie quanto un mutamento della traccia, poiché ciò significa aver bruciato tutto il tempo dedicato a quella scelta in precedenza; poche cose, peraltro, sono parimenti inutili, dal momento che le tracce sono tutte di più o meno eguale difficoltà , e solo la progressiva conoscenza dei problemi di quella che abbiamo scelto ce la fa apparire più difficile di quella o di quelle che abbiamo esaminato solo superficialmente e poi scartato.
Il consiglio, dunque, è dedicare un minimo tempo alla scelta, affinché essa contenga un minimo di consapevolezza: dopo di che, quella scelta deve ritenersi irreversibile e tutto il tempo a seguire deve essere dedicato allo svolgimento del problema assegnato.
Organizzazione del tempo
Occorre focalizzarsi sull’organizzazione del tempo. La soluzione di un caso giuridico (in specie di quelli assegnati in sede di esame) richiede sostanzialmente lo svolgimento di attività che si caratterizzano per un certa ripetitività: per ciascuno di noi quelle attività richiedono un tempo diverso. Vi è , ad esempio, chi ha rapidità nello scrivere in forma gradevole e chi invece necessita di più tempo; chi ha dimestichezza con la consultazione di un codice annotato con la giurisprudenza e chi invece ha una preparazione più squisitamente teorica; chi ha costante abitudine alla redazione di atti e chi, invece, non ha mai avuto occasione di scriverne.
È evidente come ogni candidato dovrebbe conoscere, ben prima di presentarsi all’esame, quali siano i suoi punti forti e quali i suoi punti deboli: e, soprattutto, dovrebbe avere strutturato in precedenza un sistema nell’ambito del quale le diverse attività, necessarie per seguire il percorso che va dalla scelta della traccia sino alla redazione finale dell’atto, siano in linea di massima predeterminate nella propria dimensione temporale.
In sostanza, ben prima di sostenere l’esame un candidato dovrebbe conoscere in quanto tempo normalmente egli materialmente redige un atto giudiziario (dopo che abbia trovato la soluzione al problema sottopostogli), ovvero conoscere in quanto tempo di norma egli riesca ad individuare la soluzione di un caso teorico-pratico, in modo da essere pronto ad affrontare la situazione concreta in sede di esame.
Esame Avvocato 2015, la redazione del parere motivato
Il parere pro veritate è l’atto con il quale l’avvocato si pronuncia su una specifica questione legale che gli è sottoposta. Deontologia professionale esige che nell’atto l’avvocato evidenzi “la verità” giuridica della questione, dunque la situazione effettiva, non la soluzione più favorevole al cliente.Tra le circostanze che inficiano il parere tanto da determinarne l’insufficienza, rientrano in primis gli errori concettuali o sugli istituti: es. l’usucapione è “un modo di acquisto della proprietà a titolo derivativo”; es. la truffa è “un reato contro la persona”.
Errori simili, anche se riconducibili a semplici sviste, compromettono la prova. Si ricorda infatti che la valutazione dell’atto è ancorata a parametri meramente oggettivi e non soggettivi.
L’atto deve essere chiaro, scritto in modo comprensibile e semplice (ma non semplicistico). Per cui, la prima regola base consiste nel redigere il parere con una calligrafia che sia leggibile.
Altri errori gravi sono quelli ortografici: es. Tizio sparò ma se “non avrebbe” sparato sarebbe stato ucciso.Solitamente sugli errori di grammatica, i commissari raramente sono tolleranti. E’ consigliabile portarsi dietro anche un vocabolario della lingua italiana e/o dei sinonimi e contrari: nei momenti di forte tensione emotiva la memoria fa brutti scherzi e si incorre in errori elementari o in dubbi che mai avreste pensato di avere.
Tra gli errori da evitare, poi, ovviamente quelli inerenti al contenuto del parere: dimostrare una conoscenza confusa o sommaria dell’argomento o esporlo in maniera inadeguata, compromette il buon esito della prova. Ad esempio, espressioni del tipo “Il dolo è alternativo, eventuale, diretto e in questi casi cambia quello che vuole l’agente mentre agisce, nel suo pensiero” sono censurati dalla commissione seduta stante..
Scrivete frasi brevi e senza troppe incidentali o subordinate. Non utilizzate la prima persona singolare bensì la terza persona singolare: i commissari non vogliono sapere il vostro parere personale, ma le critiche giuridiche a quelle tesi. Riportate le argomentazioni in maniera neutra e indiretta: non citate i nomi degli autori, ma nascondetevi sempre dietro a formule del tipo “l’indirizzo predominante” o “parte della dottrina minoritaria” ovvero ad “altra parte della dottrina”.
Evitate le domande dirette, anche se retoriche: usate sempre la forma delle domande indirette. Evitate anche di ricopiare interamente gli articoli del codice: solitamente anche i commissari li sanno, altrimenti vanno a leggerli dal codice. Riportate sempre la giurisprudenza, ma non copiatela così come citata dal codice:argomentatela e contestualizzatela all’interno del vostro discorso.
Ricordate che dovete essere coscienti dell’argomento trattato, ma ciò non vuol dire che dobbiate redigere un trattato né al contrario un atto estremamente breve. Attenetevi a quello che vi chiede la traccia senza soffermarvi su questioni marginali o non richiesti espressamente.
La lunghezza dell’elaborato è relativa: tuttavia una lunghezza “giusta” è configurabile tra le 4 e le 5 facciate.E’ importante evitare le ripetizioni, sia di concetti sia di vocaboli, al fine di non annoiare oltremodo il commissario che lo dovrà leggere.
Anche la mancata comprensione della traccia compromette il buon esito del parere: per questo è bene leggere più volte e attentamente sia la traccia, sia il proprio atto. Del resto, avete sette ore di tempo, per cui organizzatevi con calma. Un consigliato “contingentamento dei tempi” potrebbe essere:
- prima ora: leggere e rileggere la traccia e approntare lo schema;
- seconda ora: leggere le norme del codice coordinarle tra loro per lo schema logico che ci siamo preparati, e integrare con la giurisprudenza;
- dalla terza alla quinta ora: redazione del parere;
- sesta ora: rilettura brutta e pausa;
- settima ora: copiatura.
Tempo lungo, sì, ma non illimitato: evitate per cui di ridurvi all’ultimo minuto per la ricopiatura in bella.
Ecco alcune “dritte” più tecniche sulla redazione del fatidico atto.
La struttura del parere
Non affidatevi a schemi preimpostati. Il parere non è un ricorso o una citazione, non c’è nessuna “maschera” da seguire. Lo schema di “traccia” è nel parere stesso, di volta in volta sottoposto all’esaminando. Tuttavia, vi consigliamo una struttura portante generale, una sorta di scheletro dell’elaborato, da tenere ben presente al fine della redazione di un parere completo.
1) PREMESSA (prima parte): viene sviluppato l’istituto entro cui si inquadra la questione giuridica da esaminare;
2) QUAESTIONES JURIS (seconda parte): viene sviluppato il problema e lo si risolve (più problemi se non diversi);
3) CONCLUSIONI: occorre precisare, in modo concreto e diretto, cosa dire a chi invoca il patrocinio in sede di parere.
E’ importante, ma spesso per molti difficile, redigere un parere in cui i passaggi tra una “parte” e l’altra siano sciolti, fruibili e chiari oltre che scorrevoli. Chi legge, cioè, non deve percepire bruschi scambi o arresti. La trattazione deve essere omogenea. Un esempio di “passaggio scorrevole” potrebbe essere “La questione è rilevante ai fini del parere odierno poiché…”
Il nesso logico – giuridico
I passaggi, in tutto, sono due: quello tra premessa e parte centrale del parere e quello tra quest’ultima e le conclusioni. Dei due il più importante è il primo, detto anche nesso logico – giuridico. Ed infatti, passando dalla prima parte a quella centrale, il candidato deve “capire” quale sia quell’elemento che relaziona la premessa teorica alla questione giuridica da risolvere. Si tratta, cioè, di trovare il grimaldello che lega l’istituto al caso concreto. E’ qualcosa che la traccia di parere non dice ma che lo scrivente deve ricavare dai fatti esposti. Attraverso questo passaggio chi corregge ha modo di verificare se lo scrivente ha compreso la problematica giuridica ed è stato capace di ragionare.
Facciamo un esempio: uso legittimo delle armi. Traccia: Tizio, ladro in un deposito abbandonato, viene sorpreso dall’agente di polizia Sempronio che, vedendo Tizio darsi alla fuga, esplode taluni colpi di pistola. I colpi raggiungono Tizio e lo uccidono. Il candidato, premessi cenni sulle scriminanti, rediga motivato parere.
PARTE TEORICA (istituto): Le scriminanti
PARTE CENTRALE (questioni giuridiche): Uso delle armi da parte di S.
Cosa collega le scriminanti all’uso delle armi?
Nella fattispecie, la soluzione è semplice:
il nesso di relazione è infatti l’art. 53 del codice penale: nel caso, infatti, occorrerà valutare la liceità o meno dell’uso della pistola da parte di Sempronio. L’art. 53 prevede una scriminante appositamente dedicata (uso legittimo delle armi). Ma non è tutto: nel caso, infatti, si controverte sulla “fuga” di Tizio e occorre, sempre richiamando l’art. 53 c.p., verificare se l’uso delle armi, scriminato, sia anche quello che si riverbera sul fuggitivo.
Il passaggio logico – giuridico, qui, richiede una cd. qualificazione giuridica: un elemento di fatto (la fuga) deve essere tradotto in diritto (qualificandolo giuridicamente) così da poter capire quale sia la questione giuridica. Nella fattispecie la fuga va qualificata, giuridicamente, come forma di resistenza passiva e proprio di resistenza parla l’art. 53 c.p. Ma esso comprende anche quella passiva e, quindi, anche la fuga? In caso di risposta affermativa, ben potremmo dire che l’uso delle armi da parte di Sempronio potrebbe essere scriminato.
La questione giuridica
Alla premessa teorica sull’istituto, segue la parte centrale del parere, introdotta dall’individuazione del nesso di relazione: il candidato, fornite le premesse sull’argomento generale, deve affrontare il problema giuridico che si evince dalla traccia.
Tornando al nostro esempio: la premessa generale è sulle cause di giustificazione, la parte centrale concerne l’applicabilità della scriminante alla resistenza passiva, sub specie di fuga. Il tipo di elaborato (parere pro veritate) esige che il candidato illustri tutti o, comunque i più importanti, indirizzi ermeneutici in materia acclarando le ragioni addotte a sostegno dell’uno e dell’altro ed evidenziano le critiche che sono state mosse. Ricostruito il problema in astratto, il candidato non deve perdere di vista il “fatto” concretoe, quindi, deve applicare quegli enunciati generali al profilo specifico oggetto della traccia
Le conclusioni
Il parere deve concludersi con l’illustrazione delle conclusioni, anche sintetiche ma puntuali. Il candidato, sviluppata la premessa generale e risolto il problema giuridico, rassegna le sue conclusioni nell’interesse del richiedente.
I consigli finali
Un parere deve essere solido, nella sua globalità, ma sciolto e fruibile nelle sue parti strutturali: in ciò, gran parte dipende dal lessico, dalla terminologia e dallo stile. In genere, è sempre opportuno non ricopiare per intero le massime oppure le norme essendo preferibile rielaborare gli enunciati. Inoltre, i termini utilizzati devono essere tecnici seppur incastonati in periodi semplici e non eccessivamente lunghi.
Un ulteriore consiglio concerne “l’apertura” del parere: è buona regola non rompere la “finzione” e, cioè, non discorrere di traccia o di prova (es. “dalla traccia risulta che per risolvere il parere dobbiamo affrontare i seguenti profili”..). L’ideale è muovere dalla premessa teoria, direttamente, rispettando, così, inoltre, la “scaletta” racchiusa nella traccia dettata. Infine, corollario della tipologia di prova in esame, è il taglio pratico: attenzione a non perdersi nel dogmatismo oppure nell’elencazione fredda di concetti ed istituti senza mai guardare al caso: depone sempre bene, una tecnica di redazione che incastoni, in modo opportuni, parti del fatto nella disamina sulle questioni teoriche. Il resto, ovviamente, è pazienza, cura e, perché no, originalità.
La redazione del parere motivato è l’oggetto delle prime due prove scritte della sessione degli esami per avvocato. Il parere deve essere scelto ‘‘tra due questioni in materia regolata dal codice civile’’, nonché ‘‘tra due questioni in materia regolata dal codice penale’’.
Il candidato deve:
- ricostruire il fatto sulla base delle circostanze specificate nella traccia e non modificabili;
- individuare e analizzare gli istituti e i problemi giuridici rilevanti per la soluzione della questione proposta;
- illustrare la posizione giuridica del proprio assistito;
- impostare in maniera critica la linea difensiva più vantaggiosa, sotto l’aspetto sostanziale e processuale;
- ricercare nella giurisprudenza gli orientamenti che possono meglio suffragare la tesi difensiva;
- elaborare, con le conclusioni, la soluzione della questione proposta; e, se questa è controversa, esporre concisamente gli argomenti addotti in senso favorevole e contrario rispetto all’una o all’altra tesi.
L’argomentazione
Non è necessario che nel parere il candidato sostenga la tesi esatta o generalmente condivisa in giurisprudenza (e in dottrina), ma è necessario e sufficiente che dimostri di essere in grado di sostenere, con argomenti convincenti sotto il profilo logico e giuridico, una determinata tesi, anche se minoritaria.
Addirittura, in alcuni casi, qualora la questione appaia per così dire aperta, si potranno formulare anche più ipotesi di soluzione adeguatamente motivata; mentre va sempre evitata la ricerca di soluzioni originali o la elaborazione di nuove teorie. Il candidato non deve limitarsi a prospettare le differenti ipotesi risolutive, ma anche effettuare tra le stesse una scelta, che ne dimostra le attitudini giuridiche. Qualunque sia la soluzione adottata, questa deve essere sorretta da una motivazione articolata, che, lungi dall’essere una mera enunciazione di principi di diritto, costituisca una vera e propria applicazione dei principi alla fattispecie concreta.
Conclusioni per il caso pratico
Il parere motivato si caratterizza per la soluzione ragionata del caso pratico offerto dalla traccia e per la chiara esposizione riassuntiva delle conclusioni, in cui il candidato si esprime come legale di una delle parti ed indica, se del caso, le possibili strategie da seguire.
L’esposizione riassuntiva può essere compendiata in una delle seguenti formule: ‘‘In conclusione, quale legale di Tizio, si consiglia ...’’ ovvero ‘‘In conclusione, per tutte le considerazioni che precedono, sembra infondata la tesi ...mentre appare fondata l’altra tesi secondo la quale ...’’.
La redazione del parere di diritto civile
La redazione del parere di diritto civile rappresenta la prima prova in ordine di tempo che il candidato deve affrontare.
Diversi i problemi di interpretazione in punto di diritto.
Per questo il candidato, dopo un’attenta analisi dei fatti, deve preoccuparsi soprattutto di inquadrare correttamente gli istituti giuridici che si riferiscono al caso in esame, approfondendone aspetti ed effetti.
L’approfondimento deve essere effettuato con riferimento alle finalità del parere, che sono quelle, ribadiamo, di fornire la soluzione di un problema pratico (e non già di effettuare una dissertazione teorica su un particolare istituto).
La redazione del parere di diritto penale
Il parere di diritto penale rappresenta la seconda prova, alla quale viene sottoposto il candidato.
I problemi interpretativi in questo caso si realizzano in punto di fatto.
Il candidato deve cercare principalmente di effettuare una corretta interpretazione dei fatti, ai quali far seguire l’analisi dei principi di diritto che ineriscono alla fattispecie in esame, e di affrontare tutte le diverse imputazioni che potrebbero essere elevate dal pubblico ministero nei confronti del soggetto attivo, per poi cercare di contrastarle e di confutarle.
Ruolo del legale
Poiché la traccia assegna al candidato un determinato ruolo, che generalmente è quello del legale dell’ipotetico indagato/imputato, ma che può essere anche quello di difensore della persona offesa, l’impostazione del parere deve essere diversa a seconda che il candidato assuma le vesti dell’uno o dell’altro.
Nel primo caso il candidato non deve sostenere ‘‘comunque’’ l’assoluzione del proprio assistito; mentre nel secondo caso non deve sempre ‘‘appiattirsi’’ sulle richieste del pubblico ministero: un atteggiamento, nel contempo realistico e non rinunciatario, è segno di maturità professionale.
Struttura del parere di diritto penale
Sotto il profilo strutturale, il parere di diritto penale può seguire schemi diversi:
q in alcuni casi, può risultare preferibile affrontare anzitutto le ipotesi di accusa più gravi, cercando di coglierne i punti deboli, per dimostrarne la infondatezza; per poi procedere ‘‘a scalare’’ verso ipotesi accusatorie meno gravi fino alla definizione di possibili soluzioni assolutorie;
q in altri, può essere preferibile impostare la difesa indicando subito l’obiettivo principale: ad es., prescrizione del reato, esistenza di una scriminante (causa di giustificazione), di una scusante (causa di esclusione della colpevolezza) o di una esimente (causa di esclusione della pena); per poi passare ad illustrare linee difensive subordinate: ad es., supposizione colposa di una scriminante inesistente.
Il parere potrebbe così svilupparsi:
- l’indicazione motivata della imputazione;
- la confutazione, totale o parziale, dell’imputazione che è già stata contestata dal P.M., mediante esposizione dei motivi di esclusione dei reati e delle circostanze aggravanti ovvero dei motivi che consentono di derubricare il reato contestato in altro reato meno grave;
- l’indicazione, nei casi in cui il candidato, nella sua veste di difensore, non può ragionevolmente escludere la responsabilità penale del proprio assistito in relazione al fatto contestato, dei motivi di applicabilità:
a. delle circostanze attenuanti (comuni, generiche e speciali);
b. della prevalenza o equivalenza delle circostanze attenuanti sulle eventuali contestate aggravanti (art. 69 c.p.);
c. del nesso della continuazione che lega i vari reati eventualmente contestati (art. 81 comma 2 c.p.);
d. delle diminuenti previste dagli artt. 442 e 444 c.p.p. in relazione al giudizio abbreviato e al patteggiamento;
e. dei benefici di legge della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale (artt. 163-164 e 175 c.p., nonché art. 533 comma 3 c.p.p.);
f. di una causa di condono (art. 174 c.p.).
b. della prevalenza o equivalenza delle circostanze attenuanti sulle eventuali contestate aggravanti (art. 69 c.p.);
c. del nesso della continuazione che lega i vari reati eventualmente contestati (art. 81 comma 2 c.p.);
d. delle diminuenti previste dagli artt. 442 e 444 c.p.p. in relazione al giudizio abbreviato e al patteggiamento;
e. dei benefici di legge della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale (artt. 163-164 e 175 c.p., nonché art. 533 comma 3 c.p.p.);
f. di una causa di condono (art. 174 c.p.).
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