martedì 27 ottobre 2015

Vaccini: non sono risarcibili i danni imprevisti. La sentenza

Vaccini: non sono risarcibili i danni imprevisti

Ove il medico esegua correttamente l'iniezione per la vaccinazione obbligatoria, nel caso in cui si manifestino effetti imprevisti ed imprevedibili, la Asl non è responsabile.

Lo ha affermato, con la sentenza oggi in pubblicazione, la Suprema Corte, la quale ha rilevato che il vaccino è «una pratica routinaria» che non necessita di «accertamenti preventivi». Pertanto, qualora si manifestassero effetti indesiderati, l'Asl non è tenuta a risarcire nulla quando il medico esegue correttamente l'iniezione.
I Giudici di legittimità hanno così respinto il ricorso di una donna che aveva riportato danni permanenti dopo la vaccinazione obbligatoria contro il tifo.
Nel caso di specie, la dottoressa che aveva eseguito l’iniezione, se pur correttamente e nel punto giusto, aveva leso il nervo circonflesso determinando così un effetto collaterale dannoso e non voluto.
Per tale motivo la donna aveva adito il Tribunale per ottenere il risarcimento dei danni subiti, a carico della Asl, a seguito della cattiva esecuzione di una iniezione intramuscolare finalizzata alla vaccinazione obbligatoria antitifica.
Istanza rigettata dai Giudici di merito (nonché dalla Corte di legittimità), ad avviso dei quali, benché fosse stato provato che l’iniezione aveva toccato e danneggiato il nervo circonflesso, nessuna responsabilità era ascrivibile al medico vaccinatore e dunque alla Asl, avendo il medico somministrato il vaccino in maniera tecnicamente corretta e avendo il predetto nervo un andamento variabile da individuo ad individuo.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Giuseppe Salmè - Presidente -
Dott. Roberta Vivaldi - Consigliere
Dott. Raffaele Frasca - Consigliere -
Dott. Lina Rubino - Rel. Consigliere -
Dott. Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA N. 21177/2015
sul ricorso 23804-2012 proposto da:
P. F. ...omissis..., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell'avvocato Michele Liguori, che la rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;
- ricorrente.-
contro
A. SPA in persona dei persona dei procuratori Dr. A. C. e Dr.ssa A. G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell'avvocato Giorgio Spadafora, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;
G. C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIANO PARRASIO 6, presso lo studio dell'avvocato Enrico Vitiello, rappresentata e difesa dall'avvocato Domenico Gerardi giusta procura speciale in calce al controricorso;
M. A.- DIRETTORE GENERALE DELLA ASL NAPOLI 3 SUD, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POLI 29, la SEDE DI RAPPRESENTANZA DELLA REGIONE CAMPANIA, rappresentato e difeso dall'avvocato Eduardo Martucci giusta procura speciale in calce al controricorso;
- controricorrenti -
nonchè contro
ASL NAPOLI 5;
- intimata -
avverso la sentenza n. 2953/2011 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 27/09/2011, R.G.N. 2779/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/09/2015 dal Consigliere Dott. Lina Rubino;
udito l'Avvocato Giorgio Spadafora;
udito l'avvocato Domenico Gerardi;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Anna Maria Soldi che ha concluso per il rigetto del ricorso;
I FATTI
Nel 1997 P. F. conveniva in giudizio dinanzi al Pretore di Torre Annunziata la A.S.L. n. 5 di Napoli per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito della cattiva esecuzione di una iniezione intramuscolare finalizzata alla vaccinazione obbligatoria antitifica, dalla quale assumeva di aver riportato postumi permanenti. La A.S.L. chiamava in giudizio la sua compagnia assicuratrice, L. s.p.a. e il medico che aveva eseguito l'iniezione, G. C..
Nel 2003 il Tribunale di Torre Annunziata rigettava la domanda compensando le spese.
Nel 2011 la Corte d'Appello di Napoli, con la sentenza qui impugnata, rigettava l'appello della P. F., affermando che, benché potesse ritenersi provato che l'iniezione aveva toccato e danneggiato il nervo circonflesso, nessuna responsabilità fosse ascrivibile al medico vaccinatore e per esso alla ASL avendo il medico somministrato il vaccino in maniera tecnicamente corretta e avendo il predetto nervo un andamento variabile da individuo ad individuo; rigettava anche l'appello incidentale della compagnia di assicurazioni sulle spese, e compensava nuovamente le spese di lite.
P. F. propone ricorso per la cassazione della predetta sentenza, n. 2953 del 2011 della Corte d'Appello di Napoli, depositata il 27 novembre 2011, non notificata, articolato in cinque motivi.
Resistono A. s p a (già R. s.p.a., già L. s.p.a.), la Azienda Sanitaria Locale Napoli 3 sud (già ASL n. 5 di Napoli) e la dott.ssa G. C. con controricorso.
LE RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, 1218, 2229 e segg., 2697, 2727, 2729 c.c., 115, 116 c.p.c., 24 e 111 Cost.,ovvero la violazione dei principi in tema di ripartizione dell'onere probatorio nella responsabilità medica contrattuale della struttura pubblica; l'omessa e insufficiente o illogica motivazione o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce nuovamente la violazione e\o falsa applicazione delle norme ex artt. 1176, 1218, 2229 e segg., 2697, 2727,2729 c.c., 115 e 116 c.p.c.
Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione sempre dei medesimi articoli e in particolare la violazione dei principi in tema di onere di allegazione e prova.
Con il quarto, denuncia la violazione dei medesimi articoli ed in particolare la violazione dei principi in tema di prova presuntiva semplice, nonché l'omessa, insufficiente o illogica o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Infine, con il quinto ed ultimo motivo deduce la violazione e\o falsa applicazione sempre delle medesime norme ed in particolare dei principi in tema di nesso di causalità nel collegamento del danno ad uno specifico ed individuato errore medico.
I motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi, e non possono essere accolti.
La corte d'appello non ha violato i principi in tema di responsabilità medica ed in particolare in tema di ripartizione dell'onere della prova in caso venga prospettata una ipotesi di responsabilità (contrattuale) medica: essa ha positivamente accertato l'esistenza del nesso causale tra la vaccinazione e il danno riportato dalla paziente (sulla cui entità non si è svolto peraltro un approfondimento istruttorio) ma ha poi escluso, sulla base di un accertamento in fatto fondato motivatamente sulle risultanze delle consulenze tecniche, in particolare della prima, che alcuna responsabilità colposa gravasse sulla dottoressa che ha eseguito la vaccinazione, la quale si è attenuta ai protocolli nella localizzazione dell'iniezione e nelle modalità della sua esecuzione, né era tenuta, trattandosi di una pratica routinaria ad eseguire altri e più complessi accertamenti preventivi. In difetto di colpa in capo all'autrice della vaccinazione (neppure la ricorrente del resto ha allegato una manovra errata, ascrivibile alla dottoressa, che avrebbe provocato il dolore), il verificarsi dell'evento dannoso è stato ricondotto dalla corte territoriale al caso fortuito, ovvero all'andamento variabile e talvolta imprevedibile del nervo circonflesso, come accertato dalla consulenza, che ha ricondotto all'esterno della sfera di controllo e di prevedibilità della professionista che ha effettuato l'intervento routinario.
Una tale ripartizione degli oneri probatori è conforme principi di diritto già enunciati da questa Corte in materia: nei giudizi di risarcimento del danno causato da attività medica, l'attore ha l'onere di allegare e di provare l'esistenza del rapporto di cura, il danno ed il nesso causale, mentre ha l'onere di allegare (ma non anche di provare) la colpa del medico; quest'ultimo, invece, ha l'onere di provare che l'eventuale insuccesso dell'intervento, rispetto a quanto concordato o ragionevolmente attendibile, è dipeso da causa a sé non imputabile (Cass. n. 17143 del 2012).
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come al dispositivo.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Liquida le spese legali in euro 2.000,00 ciascuno, di cui 200,00 per spese, in favore di A. e Giordano, in euro 1.600,00 di cui 200,00 per spese in favore di ASL Napoli Sud, oltre accessori e contributo spese generali.
Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione il 22 settembre 2015
IL PRESIDENTE
Giuseppe Salmè
IL CONSIGLIERE EST
Lina Rubino
Depositata in Cancelleria il 20 ottobre 2015
IL FUNZIONARIO GIUDIZIARIO
Innocenzo Battista

lunedì 26 ottobre 2015

Responsabilità colposa del medico, linee guida e valutazione

Il medico che assuma di aver rispettato le regole di diligenza e i protocolli ufficiali deve allegare le linee guida alle quali egli ha conformato la propria condotta, al fine della verifica della loro correttezza e scientificità. Secondo la sentenza n. 40708/2015 della Cassazione, soltanto nel caso di linee guida conformi alle regole della miglior scienza medica è, infatti, possibile utilizzare le medesime come parametro per l’accertamento dei profili di colpa ravvisabili nella condotta del medico.

Il caso di specie

Un medico, chirurgo plastico presso una casa di cura privata, è imputato del delitto di lesioni personali per aver cagionato per colpa, consistita in negligenza, imprudenza e imperizia e violazione delle regole dell’arte medica, ad un paziente una malattia della durata superiore a quaranta giorni con rischio di indebolimento permanente della funzione sessuale e di perdita della capacità di procreare.

Le due sentenze di merito hanno conformemente deciso per l’affermazione di responsabilità penale del medico-chirurgo per il delitto di cui all’art. 590 c.p. Con ricorso per cassazione il difensore dell’imputato ha lamentato, tra l’altro, l’omessa considerazione dell’avvenuto rispetto delle regole di diligenza e dei protocolli ufficiali, alla luce della novella normativa di cui all’art. 3 L. 8.11.2012, n. 189.

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso con alcune interessanti considerazioni in ordine all’onere di allegazione incombente sull’imputato e alla rilevanza delle linee guida nella valutazione della responsabilità colposa del medico.

Le linee guida

L’art. 3 del D.L. 13.9.2012, n. 158 convertito in L. 8.11.2012, n. 189 esclude la responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria quando egli, nello svolgimento della propria attività medica, si sia attenuto a «linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica». La giurisprudenza successiva alla novella legislativa, che ha parzialmente depenalizzato le fattispecie penali di cui agli artt. 589 e 590 c.p. per i casi di omicidio e lesioni personali commessi con colpa lieve, che si collochino all'interno dell'area segnata dalle linee guida o da virtuose pratiche mediche, accreditate dalla comunità scientifica, ha precisato il contenuto della disposizione normativa, con alcune fondamentali specificazioni.

Le linee guida sono state, innanzitutto, definite come «raccomandazioni di comportamento clinico sviluppate attraverso un processo sistematico di elaborazione per coadiuvare medici e pazienti nel decidere quali siano le modalità di assistenza più appropriate in specifiche circostanze cliniche» (Cass., Sez. IV, 5.11.2013, n. 18430, in C.E.D. Cass., rv. 261293). Per avere rilevanza nell'accertamento della responsabilità del medico, esse devono indicare "standard" diagnostico-terapeutici conformi alle regole dettate dalla migliore scienza medica a garanzia della salute del paziente (Cass., Sez. IV, 15.10.2013, n. 46753, in Giur. it., 2014, 156; Cass., Sez. IV, 18.6.2013, n. 39165, in Danno e resp., 2014, 109).

Controversa è inoltre l’applicabilità della limitazione di responsabilità ai soli casi di colpa lieve per imperizia ovvero a tutte le condotte colpose e, in particolare, anche a quelle contrassegnate da colpa lieve per negligenza. La prevalente giurisprudenza si è espressa nel senso della applicazione della nuova disciplina ai soli casi in cui all'esercente la professione sanitaria venga mosso un addebito di imperizia e non anche quando il rimprovero riguardi la violazione del dovere di diligenza e di prudenza da cui sia dipeso l'evento penalmente rilevante: nel caso in cui la condotta del medico si sia discostata in modo non rilevante dallo standard di condotta dell’agente modello verrà esclusa la sua punibilità; nel caso in cui, invece, il rimprovero mosso al medico abbia riguardato l’inosservanza di regole di comune diligenza o prudenza, la levità della colpa non escluderà la responsabilità penale ma potrà assumere rilevanza unicamente ai fini della determinazione della pena (Cass., Sez. IV, 27.4.2015, n. 26996, in C.E.D. Cass., rv. 263826; Cass., Sez. IV, 20.3.2015, n. 16944, in Quotidiano giuridico, 2015; Cass., Sez. IV, 8.7.2014, n. 7346, in C.E.D. Cass., rv. 262243; Cass., Sez. III, 4.12.2013, n. 5460, in C.E.D. Cass., rv. 258846; Cass., Sez. IV, 24.1.2013, n. 11493, in C.E.D. Cass., rv. 254756). In senso contrario si è pronunciata altra sentenza della Corte di Cassazione che, pur riconoscendo che la norma ha come terreno di elezione la colpa per imperizia, ha affermato l’applicabilità della limitazione di responsabilità anche ai casi in cui il parametro della condotta dell’agente sia quello della diligenza/negligenza (Cass., Sez. IV, 9.10.2014, n. 47289, in C.E.D. Cass., rv. 260739).

In ogni caso, il rispetto delle linee guida non è condizione sufficiente per l’esclusione della responsabilità penale, in quanto il giudice deve sempre accertare se la specificità del quadro clinico del paziente era tale da imporre una condotta del medico differente da quanto indicato in termini generali dai protocolli ufficiali: «Il presupposto per il contenimento della risposta sanzionatoria, sul piano penale, si giustifica non già per effetto dell'astratta conformità del comportamento medico a una regola positivizzata, bensì in ragione dell'adeguamento della condotta del medico ai parametri di più elevata qualificazione sul piano scientifico. Dove il senso dell'espressione che richiama alla categoria della "scientificità" chiede d'essere inteso alla luce dell'indole eminentemente pratico-clinica che caratterizza la scienza medica, e che si vale dell'attitudine dell'operatore concreto alla costante sottoposizione, delle ipotesi astratte di partenza (sia pure scientificamente fondate), alle prove di resistenza avanzate dall'esperienza concreta in relazione al caso clinico, con l'eventuale scostamento del contegno terapeutico dai canoni del sapere cristallizzato (o anche solo con l'opportuno adattamento di questo), ove imposto alla luce concreta delle evidenze del caso» (così Cass., Sez. IV, 22.4.2015, n. 24455, in C.E.D. Cass., rv. 263732, che richiama a sua volta Cass., Sez. IV, 29.1.2013, n. 16237, in C.E.D. Cass., rv. 255105); sul tema cfr. anche Cass., Sez. IV, 19.1.2015, n. 9923, in Quotidiano giuridico, 2015; Cass., Sez. IV, 8.7.2014, n. 2168, in C.E.D. Cass., rv. 261764; Cass., Sez. IV, 15.4.2014, n. 22281, in C.E.D. Cass., rv. 262273; Cass., Sez. IV, 5.11.2013, n. 18430, in C.E.D. Cass., rv. 261293).

La sentenza in commento, proseguendo nell’opera di interpretazione della norma, ha ulteriormente precisato come il medico che assuma di aver conformato la propria condotta ai protocolli medici ufficiali non può limitarsi alla mera enunciazione di un assunto, ma deve allegare le linee guida alle quali egli afferma di essersi conformato, dovendo il giudice valutare la loro conformità alle regole della miglior scienza medica e, successivamente, utilizzare le medesime come parametro per la valutazione della colpa del medico (in senso conforme: Cass., Sez. IV, 18.12.2014, n. 21243, in C.E.D. Cass., rv. 263493; Cass., Sez. IV, 8.10.2013, n. 7951, in C.E.D. Cass., rv. 259333).

Leggi la sentenza

In tema di legittima difesa domiciliare

Cassazione Penale, Sez. I, 3 luglio 2014 (ud. 25 febbraio 2014), n. 28802
Presidente Cortese, Relatore La Posta, P.G. Gialanella

Pronunciandosi su una vicenda analoga ad uno dei casi di scuola più abusati dalla manualistica (quello del proprietario di casa che spara al ladro per impedire il furto della propria autovettura), la prima sezione penale della Corte di Cassazione, con la pronuncia numero 28802, ha preso posizione in ordine alla natura giuridica della cd. legittima difesa domiciliare di cui all’art. 52 commi 2 e 3 c.p. schierandosi a favore dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui si avrebbe a che fare con un’ipotesi speciale di legittima difesa e non con una scriminante autonoma.
Ben note le conseguenze derivanti dalla adesione al primo o al secondo orientamento: aderendo, infatti, all’orientamento che considera la legittima difesa domiciliare un’ipotesi speciale di legittima difesa, ai fini della sua configurabilità dovranno sussistere (oltre ai requisiti di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 52 c.p.) anche i requisiti di cui al comma 1, con la conseguenza che il giudice dovrà sempre accertare la sussistenza del pericolo attuale, dell’offesa ingiusta e della inevitabilità della reazione difensiva.

1. Questi, in breve, i fatti: intorno alle ore 02.00 della notte ignoti si erano introdotti nell’abitazione del l’imputato e si erano portati al primo piano ove erano situate le camere da letto. Entrato in funzione il sistema di allarme, l’imputato aveva notato nel soggiorno una persona che teneva in una mano una torcia con la quale lo aveva abbagliato e nell’altra un oggetto non individuato; rientrato nella camera da letto aveva preso il fucile da caccia, regolarmente denunziato, si era portato sul balcone che da sul retro della casa dal quale aveva notato una persona che si stava impossessando della sua autovettura Mercedes; quindi aveva esploso un primo colpo di fucile – colpendo al petto la persona che alla guida dell’auto si stava dirigendo verso il cancello – poi si era portato su un altro balcone ed aveva esploso un altro colpo di fucile, come confermato dal rinvenimento dei due bossoli vuoti sui due diversi balconi.
In secondo grado la Corte di assise di appello di Brescia riformava parzialmente la decisione con la quale il Gup del Tribunale di Bergamo, all’esito del giudizio abbreviato, lo aveva condannato per omicidio volontario, riducendo la pena allo stesso inflitta ad anni sei, mesi due e giorni venti di reclusione.
Proponeva ricorso l’imputato sostenendo che ai fini dell’applicabilità della disposizione sulla legittima difesa domiciliare non sarebbe richiesto che sia in corso un’aggressione personale o ai beni, ma che sussista semplicemente un pericolo di aggressione, ossia una situazione nella quale non è esclusa la possibilità dell’aggressione, ovvero è semplicemente possibile ed è, quindi, giustificata la reazione.

2. La Corte di Cassazione ha aderito alla tesi – già sostenuta in giurisprudenza – secondo cui quella di cui all’art. 52 c. 2 e 3 sarebbe una ipotesi speciale della normale legittima difesa (di cui all’art. 52 c. 1) e, alla luce della ricostruzione delle condotte operata dai giudici di merito (secondo la quale, dopo essere entrati in casa, i malviventi si erano allontanati, dandosi alla fuga con l’autovettura del ricorrente che ha sparato nel momento in cui il pericolo di aggressione non era più attuale), ha ritenuto il motivo infondato.
Ad avviso della Corte, i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza con riferimento alla configurabilità della scriminante della legittima difesa domiciliare, nel senso che le modifiche apportate all’art. 52 c.p. dalla L. n. 59 del 2006, hanno riguardato solo il concetto di proporzionalità, fermi restando i presupposti dell’attualità dell’offesa e della inevitabilità dell’uso delle armi come mezzo di difesa della propria o dell’altrui incolumità; di conseguenza, la reazione a difesa dei beni è legittima solo quando non vi sia desistenza e sussista un pericolo attuale per l’incolumità fisica dell’aggredito o di altri (Sez. 1, n. 16677 del 08/03/2007, Grimoli, rv. 236502; Sez. 1, n. 23221 del 27/05/2010, Grande, rv. 247571).
Al momento in cui il ricorrente ha usato l’arma per sparare – scrivono i giudici – non vi era alcun pericolo di aggressione, posto che i malviventi si stavano allontanando rubando l’autovettura: non vi era alcuna aggressione in atto nei confronti dell’imputato o dei suoi familiari; inoltre – continua la Corte – per sua stessa ammissione, il ricorrente aveva preso il fucile per spaventare i ladri e, recatosi sul balcone, aveva visto che stavano prendendo la sua autovettura e si stavano allontanando; pertanto, dall’interno del balcone aveva sparato in direzione del parabrezza il colpo rivelatosi mortale. La Corte di appello, quindi, ha dato conto del fatto che allorchè l’imputato sparò, l’unico bene effettivamente aggredito era l’autovettura di cui voleva impedire il furto, mentre i ladri a bordo dell’auto stavano fuggendo e ogni aggressione doveva ritenersi ormai esaurita.
Secondo la Corte, anche il presupposto dell’assoluta necessità della reazione – anch’esso richiesto ai fini della sussistenza della legittima difesa (sia quella domiciliare sia quella ordinaria) – è stato escluso dalla Corte territoriale laddove ha sottolineato che il ricorrente, accortosi che i ladri stavano fuggendo a bordo della propria auto, invece di porre in atto la reazione estrema effettivamente realizzata, sparando ad altezza d’uomo a poco più di tre metri di distanza, avrebbe potuto porre in essere una condotta meno dannosa, quale l’esplosione di un colpo in aria a scopo intimidatorio o l’esplosione di un colpo indirizzato alle ruote dell’auto, ugualmente idonea a mettere in fuga i malviventi, compresi quelli eventualmente rimasti all’interno dell’abitazione. Al contrario, l’imputato ha scelto volontariamente di sparare al parabrezza dell’auto dal quale era chiaramente visibile – tenuto conto dell’illuminazione del faro che gli permetteva di vedere chiaramente la sagoma del guidatore – la persona che era alla guida.

3. In senso conforme v. Cass. pen. Sez. I, 21-02-2007, n. 12466 (rv. 236217) secondo cui la causa di giustificazione prevista dall’art. 52, comma secondo, cod. pen., così come mod. dall’art. 1 L. 13 febbraio 2006 n. 59, non consente un’indiscriminata reazione nei confronti del soggetto che si introduca fraudolentemente nella propria dimora, ma presuppone un attacco, nell’ambiente domestico, alla propria o altrui incolumità, o quanto meno un pericolo di aggressione;
Cass. pen. Sez. I Sent., 08-03-2007, n. 16677 (rv. 236502) secondo cui in tema di legittima difesa, le modifiche apportate dalla legge 13 febbraio 2006, n. 59 all’art. 52 cod. pen., hanno riguardato solo il concetto di proporzionalità, fermi restando i presupposti dell’attualità dell’offesa e della inevitabilità dell’uso delle armi come mezzo di difesa della propria o dell’altrui incolumità; di conseguenza, la reazione a difesa dei beni è legittima solo quando non vi sia desistenza ed anzi sussista un pericolo attuale per l’incolumità fisica dell’aggredito o di altri;
Cass. pen. Sez. I, 27-05-2010, n. 23221 (rv. 247571) secondo cui in tema di legittima difesa, le modifiche apportate dalla legge 13 febbraio 2006, n. 59 all’art. 52 cod. pen. hanno riguardato solo il concetto di proporzionalità, al dichiarato scopo di rafforzare il diritto di autotutela in un privato domicilio o in un luogo ad esso equiparato, fermi restando i presupposti dell’attualità dell’offesa e della inevitabilità dell’uso dell’arma come mezzo di difesa della propria o dell’altrui incolumità;
Cass. pen. Sez. IV, 14-11-2013, n. 691 (rv. 257884) secondo cui la causa di giustificazione prevista dall’art. 52, comma secondo, cod. pen., così come modificato dall’art. 1 della legge 13 febbraio 2006, n. 59, non consente un’indiscriminata reazione nei confronti del soggetto che si introduca fraudolentemente nella dimora altrui ma presuppone un pericolo attuale per l’incolumità fisica dell’aggredito o di altri.

Leggi la sentenza 

mercoledì 21 ottobre 2015

Incarichi dirigenziali solo per concorso: la sentenza del Consiglio di Stato

“È senza dubbio vero che l’articolo 71 del Decreto Legislativo n. 300/1999 prevede che il regolamento di amministrazione è emanato “in conformità ai principi” di cui al Decreto Legislativo n. 29/1993, ma è, innanzi tutto, altrettanto vero che, nel caso di specie, relativo alla costituzione del rapporto di lavoro dirigenziale, ciò che risulta violato non sono (solo) pur importanti disposizioni del Decreto Legislativo n. 29/1993 (ora Decreto Legislativo n. 165/2001), ma i principi e le norme costituzionali cui tale normativa primaria si conforma”.
È quanto ha affermato il Consiglio di Stato, IV Sezione, nella pronuncia n. 4641 del 6 ottobre 2015, la quale in linea con quanto stabilito dalla ormai nota sentenza della Corte Costituzionale n. 37/2015 secondo cui  “le reiterate delibere di proroga del termine finale hanno di fatto consentito, negli anni, di utilizzare uno strumento pensato per situazioni peculiari quale metodo ordinario per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti”, ha ritenuto che la reiterata applicazione della norma regolamentare illegittima ha, di fatto, determinato una grave situazione di illegittimità in cui ha versato per anni l’organizzazione dell’Agenzia delle Entrate, determinandosi uno scostamento di proporzioni notevoli tra situazione concreta e legittimità dell’organizzazione amministrativa. In sostanza, l’amministrazione finanziaria nel suo complesso è stata oggetto di una conformazione che l‘ha posta, nelle proprie strutture di vertice, e per anni, al di fuori del quadro delineato dai principi costituzionali. Ciò che, dunque, è sicuramente mancato (in modo grave, ampio e reiterato nel tempo) è proprio la conformità ai principi sanciti dalla legge e dalla Costituzione, da parte del Regolamento dell’Agenzia, oggetto di annullamento “in parte qua” ad opera della sentenza impugnata.
In particolare la decisione della Consulta origina proprio dalla sollecitazione dei giudici amministrativi che avevano rimesso alla Corte costituzionale la questione sulla legittimità dell’articolo 8, comma 24, del Decreto Legge 16/2012, che aveva consentito sul piano legislativo alle agenzie fiscali di ricorrere a situazioni-tampone in attesa dello svolgimento dei concorsi. E proprio alla luce dello stop a quella norma arrivato in primavera ora il Consiglio di Stato riconsidera la vicenda del concorso bandito per 175 posti da dirigente alle Entrate su cui il sindacato Dirpubblica aveva già vinto il primo round al Tar del Lazio.
Giova ricordare, che la Corte Costituzionale aveva disposto che nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio. Anche il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso” (Sentenza n. 194 del 2002; ex plurimis, inoltre, Sentenze n. 217 del 2012, n. 7 del 2011, n. 150 del 2010, n. 293 del 2009). A fronte di ciò, la delibera del Comitato di gestione dell’Agenzia delle entrate 22 dicembre 2009 n. 55, con la quale è stato modificato l’articolo 24 del regolamento di amministrazione della Agenzia, il quale regola la copertura provvisoria di posizioni dirigenziali, consente la stipulazione di contratti a termine con i funzionari interni, fino all’attuazione delle procedure di accesso alla dirigenza e comunque non oltre una scadenza, da ultimo fissata al 31 dicembre 2010.
Orbene, come ha già condivisibilmente osservato il giudice di I grado nella Sentenza n. 6884/2011, la delibera impugnata ha perpetuato fino al 31 dicembre 2010 la prassi del conferimento di incarichi dirigenziali, asseritamente in provvisoria reggenza, a copertura di posizioni dirigenziali vacanti.
Incarichi conferiti a funzionari non dirigenti, per un verso quale assegnazione di mansioni superiori al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla legge” (articolo 52, co. 5, Decreto Legislativo n. 165/2001); per altro verso, non riconducibili alla diversa ipotesi della “temporanea reggenza” degli uffici.
A fronte di ciò, non può trovare considerazione l’argomento di una sostenuta “sfera di autonomia”, che l’articolo 71, comma 3, Decreto Legislativo n. 300/1999 avrebbe attribuito, tra le altre, alla Agenzia delle Entrate, né l’ulteriore argomento secondo il quale essa non sarebbe tenuta alla pedissequa applicazione delle norme di cui al Decreto Legislativo n. 29/1993 (ora Decreto Legislativo n. 165/2001).
Ecco che, il Consiglio di Stato nel rigettare l’appello delle Entrate, stabilisce che il regolamento dell’Agenzia delle Entrate ha violato sia il principio di eguaglianza dei cittadini nell’accesso ai pubblici uffici (nella specie, dirigenziali), espresso dall’articolo 51 della Costituzione, sia il principio secondo il quale ai pubblici uffici si accede mediante concorso (ex articolo 97 della Costituzione).
Si tratta di una violazione di normativa primaria (Decreto Legislativo n. 165/2001, appunto), e di principi costituzionali (di cui agli articoli 3, 51, 97 della Costituzione) di estrema gravità, in base alla quale si è proceduto al conferimento di diverse centinaia di incarichi dirigenziali, con ripercussioni evidenti non solo sul principio di buon andamento amministrativo, ma anche sulla stessa immagine della Pubblica amministrazione e sulla sua “affidabilità”, per di più nel delicato settore tributario, dove massima dovrebbe essere la legittimità e la trasparenza dell’agire amministrativo.
Di tali principi giuridici il Consiglio di Stato nella pronuncia in oggetto ha fatto buon governo poiché, nel ribadirli ha affermato che nessun incarico dirigenziale va attribuito a chi non ha sostenuto e vinto un concorso ovvero viene bollata la procedura di affidare a tempo, e reiterarli, incarichi dirigenziali a semplici funzionari incaricati.
Concludono, pertanto, i giudici che il bando di “selezione-concorso per il reclutamento di 175 dirigenti di seconda fascia, in attuazione ed ai sensi del D.M. Economia e Finanze 10 settembre 2010”, è stato annullato nella parte in cui esso può costituire una deroga volta a “sanare” l’illegittima situazione in cui hanno versato una pluralità di soggetti destinatari di incarichi illegittimamente conferiti.

lunedì 19 ottobre 2015

Esame Avvocato 2015: le 50 sentenze più importanti

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Di seguito una raccolta delle 50 sentenze della Cassazione civile e penale più importanti in vista delle prove scritte dell'esame avvocato 2015.

1. Anche il lavoro del compagno va retribuito
Lavorare gratis non piace a nessuno, quindi, attenzione! Se si decide di far lavorare, presso la propria attività, il proprio compagno/a il lavoro svolto va pagato.
Nel caso in questione una donna aveva amministrato per circa sei anni il patrimonio del compagno e della madre di lui, quindi, chiedeva che per tutto quel periodo le fosse riconosciuto un rapporto di lavoro subordinato.
In sede di appello le richieste della donna non venivano accolte ma a dar ragione alla donna ci ha pensato la Cassazione ritenendo che la stessa avesse contribuito all'attività del compagno in modo consistente.
Corte di Cassazione sentenza n. 19304 del 29 settembre 2015


2. Assegno divorzile
In questa vicenda un uomo chiedeva che non fosse più riconosciuto l'assegno divorzile (pari ad euro 500,00) alla ex moglie perché la donna, per questioni etiche, aveva determinato un declino della propria attività imprenditoriale.
In buona sostanza, la donna da anni gestiva un allevamento di struzzi e, per questioni etiche, si era rifiutata di trasformare l'attività di allevamento anche in attività di macellazione.
In sede di appello all'uomo non veniva data ragione proprio perché era stata riscontrata sia una sperequazione economica tra i coniugi sia perché sussistevano altri requisiti per riconoscere alla ex moglie l'assegno divorzile.
Dello stesso avviso e' stata la Corte di Cassazione che ha puntualizzato che le scelte etiche fatte dalla ex moglie, che hanno poi determinato il declino dell'attività imprenditoriale della donna, non sono da sole idonee per escludere la corresponsione dell'assegno.
Corte di Cassazione sentenza n. 19581 del 30 settembre 2015


3. Sfruttamento della prostituzione
In questa vicenda la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di un uomo che, sia in primo che in secondo grado, era stato condannato per sfruttamento della prostituzione perché aveva concesso in locazione un proprio immobile ad una prostituta.
Non può configurarsi il reato in oggetto se l'immobile viene locato alla prostituta al prezzo di mercato.
Il reato sussiste, invece, nell'ipotesi in cui venga dimostrato che il locatore abbia dato in locazione l'immobile ad un prezzo sproporzionato; in questo modo può desumersi un rilevante beneficio economico del locatore dalla prostituzione altrui.
Corte di Cassazione sentenza n. 39181 del 28 settembre 2015


4. Notifica di un atto
Una recente pronuncia della Cassazione ha precisato che nell'ipotesi in cui la notifica di un atto, entro un termine perentorio, non dovesse perfezionarsi, non per colpa imputabile al notificante, lo stesso sarà tenuto ad effettuare nuovamente la notifica senza aspettare l'udienza e in quella sede chiedere un nuovo termine per notificare.
La ragione di ciò è evitare una inutile durata dei tempi del giudizio.
Corte di Cassazione sentenza n. 19351 del 2015


5. Furto ai danni del convivente
Così come previsto dall'art. 649 c.p. non è punibile a querela della persona offesa chi compie dei fatti in danno di un congiunto.
Questo concetto e' stato puntualizzato da una sentenza della Cassazione in cui si è precisato che: "non può essere querelato per furto il convivente, il coniuge, il genitore o il figlio se tra la vittima e il responsabile della condotta vi sia un rapporto di convivenza.
Ad esempio, non può essere denunciato per appropriazione indebita il marito o la moglie che sottrae beni mobili dalla casa familiare se la coppia non è ancora legalmente separata.
Stessa cosa dicasi per le coppie di fatto, finché, è in atto la convivenza non può configurarsi alcun reato.
Corte di Cassazione sentenza n. 39480 del 30 settembre 2015


6. Legittimo impedimento
La richiesta di rinvio dell’udienza, a causa di un legittimo impedimento, e' assolutamente valida anche se fatta attraverso il fax.
E' però necessario che la richiesta venga fatta in tempo utile e che venga trasmessa alla cancelleria del giudice titolare del procedimento e non ad un numero qualsiasi dell'ufficio giudiziario.
Con una recente sentenza la Cassazione, rifacendosi anche a precedenti pronunce a Sezioni Unite, ha stabilito che l 'uso del fax in queste ipotesi e ' assolutamente legittimo perché non solo l’ordinamento non prevede particolari formalità ma anche perché in questo modo di semplifica e si accelera il sistema delle comunicazioni.
Corte di Cassazione sentenza n. 37859 del 18 settembre 2015


7. Risarcimento del danno per violazione dei doveri coniugali
Perché possa proporsi domanda per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla violazione dei doveri coniugali e' necessario che in sede di separazione sia stato pronunciato l'addebito a carico di uno dei coniugi.
Nel caso in questione un uomo chiedeva il risarcimento dei danni subiti a causa di una serie di tradimenti perpetrati dalla ex moglie. Ma tra le parti la convivenza matrimoniale era cessata perché era intervenuta la sentenza di divorzio, inoltre, la separazione era avvenuta consensualmente senza quindi che si facesse minimo cenno alla violazione dei doveri coniugali da parte della ex moglie.
In definitiva, la richiesta risarcitoria che può avanzarsi nelle ipotesi di infedeltà coniugale è strettamente collegata alla pronuncia di addebito della separazione.
Tribunale di Roma sentenza del 25 giugno 2015


8. Entro quanto tempo va applicata la sanzione disciplinare?
La sanzione disciplinare, inflitta ad un avvocato, si prescrive nel termine di cinque anni che comincia a decorrere dall'avvio della procedura fino al deposito della decisione.
Va precisato che l'illecito disciplinare ha natura di " diritto soggettivo potestativo" quindi soggetto a prescrizione.
In questa storia giudiziaria un avvocato aveva commesso un illecito disciplinare; l'azione disciplinare era cominciata il 12 marzo 2007, la decisione era stata presa il 9 gennaio 2008 ma gli era stata notificata il 22 ottobre 2012.
Di conseguenza il termine quinquennale di prescrizione era abbondantemente scaduto.
Corte di Cassazione sentenza n. 18077 del 15 settembre 2015


9. L'iscrizione ad una scuola privata è straordinaria
Tra le spese straordinarie, alle quali sono tenuti a partecipare nella misura del 50% entrambi i genitori, vi è l'iscrizione del figlio/a ad una scuola privata.
Questo tipo di spesa deve essere previamente concordata da entrambi i coniugi separati, diversamente se il genitore collocatario del minore prenda questa decisione in totale autonomia senza consultare l'altro coniuge non può pretendere
il pagamento della metà della quota mensile di iscrizione.
La ragione di ciò sta nel fatto che
l’affidamento condiviso implica un'attiva collaborazione di entrambi i coniugi nella educazione dei minori; di conseguenza alcune decisioni di particolare importanza devono essere prese dopo una effettiva consultazione dei coniugi.
Corte di Cassazione sentenza n.10174 del 20 giugno 2015


10. Se il paziente lamenta un danno deve provarlo
Si parla spesso di responsabilità medica ma in alcuni casi se il paziente non prova che la patologia lamentata sia una conseguenza diretta del cattivo operato del medico, il paziente può rispondere per lite temeraria
e sarà tenuto a risarcire i danni al medico.
Protagonista di questa storia è un uomo che chiedeva un risarcimento dei danni di circa mezzo milione di euro lamentando che un medico gli aveva prescritto una terapia farmacologica il cui scopo era quello di curare una patologia oculistica che invece gli aveva poi procurato dei danni permanenti ai reni.
L'uomo si era difeso sostenendo che non era stato correttamente informato circa la pericolosità del farmaco e che se avesse avuto una corretta informazione non avrebbe accettato di assumersi i probabili rischi del farmaco.
In realtà il ricorso dell'uomo è stato rigettato perché non ha provato il danno " iatrogeno"
lamentato, inoltre, smentito dalle perizie nel corso del procedimento.
Per danno iatrogeno si intende il danno causato da un trattamento clinico (diagnostico o terapeutico) a seguito di una complicanza non colpevole oppure di una colpa medica).
Così, l’uomo è stato condannato a pagare circa 48 mila euro sia al medico curante che all'azienda ospedaliera per aver dato vita una lite temeraria.
Tribunale di Padova sentenza n. 835 del 2015


11. Figlio riconosciuto dal padre in un momento successivo
Nella prassi può accadere, per varie ragioni, che un figlio venga riconosciuto dal padre solo in un momento successivo.
Bene, in questi casi così come previsto dall'art.27 primo comma, lett. c), del d.lgs 28/12/2013 n. 154, il cognome del padre può essere aggiunto, anteposto o sostituito a quello della madre.
Una recente sentenza della Cassazione rafforza questo principio ormai consolidato in giurisprudenza (basti ricordare la sentenza n. 297 del 1996 della Corte Costituzionale).
Nella vicenda in questione, affrontata dalla Cassazione, la madre di una bambina ricorreva davanti agli Ermellini perché dopo il riconoscimento della bambina, fatta dal padre in un momento successivo, la Corte d'Appello stabiliva di aggiungere il cognome paterno anteponendolo però a quello materno. La donna riteneva non giusto il provvedimento adottato in considerazione del fatto che avendo per prima riconosciuto la figlia il suo cognome andava anteposto a quello del padre.
I giudici di legittimità, sulla scorta del ragionamento fatto dai giudici
in sede di appello, hanno ritenuto che anteporre il cognome del padre a quello della madre era un modo per favorire l'inserimento della minore nel contesto familiare del padre, inoltre, la scelta del cognome deve essere valutata rispettando
l 'interesse del minore "evitando così un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale."
Corte di Cassazione sentenza n . 17976 dell'11 settembre 2015


12. Oltraggio ad un magistrato in udienza
Va bene il diritto di critica ma attenzione a non trascendere.
In questa storia giudiziaria due imputati, nel corso di un processo, rivolgendosi al giudice gli chiedevano "da quanto tempo facesse il suo lavoro”, inoltre, lo invitavano a rileggersi gli atti perché stava sbagliando.
La difesa aveva sostenuto che le parole utilizzate dai due uomini non volevano ledere il prestigio del magistrato ma si trattava semplicemente di una critica al suo operato.
Ovviamente queste argomentazioni non hanno convinto la Corte che ha precisato che: "solo le espressioni o gli apprezzamenti relativi alla legittimità o all'opportunità del provvedimento possono rientrare nel diritto di critica, mentre le considerazioni rivolte alla persona del magistrato ne offendono il suo prestigio”.
Corte di Cassazione sentenza n. 36648 del 10 settembre 2015


13. Violazione degli obblighi di assistenza familiare
Un uomo è stato condannato per il reato di cui all'art. 570 c.p. perché in più occasioni non aveva provveduto a corrispondere l'assegno di mantenimento in favore di moglie e figlia al punto che la ex moglie, trovandosi in difficoltà economiche, si era vista costretta a chiedere aiuto economico ai propri genitori.
L'uomo aveva cercato di giustificare il proprio comportamento sostenendo di essere in difficoltà economica perché era stato licenziato, inoltre, si trovava anche in detenzione domiciliare.
Queste argomentazioni non sono bastate per evitare la condanna all'uomo perché si trattava di episodi successivi a quelli oggetto di contestazione.
Corte di Cassazione sentenza n. 36669 del 10 settembre 2015


14. Revisione assegno mantenimento
Va precisato che per poter chiedere la revisione dell'assegno di mantenimento, versato in favore dei figli, devono verificarsi delle importanti modifiche nell'assetto economico dei genitori.
In questa vicenda un uomo aveva presentato ricorso in Cassazione perché dopo aver dato vita ad un giudizio per la revisione dell'assegno di mantenimento (in favore della figlia) in primo grado otteneva una riduzione della misura a 400 euro, mentre in sede di appello vedeva ripristinato l 'importo originario pari a 1.000 euro.
L'uomo chiedeva la riduzione dell'assegno perché era stato costretto a chiudere la propria ditta individuale; attraverso però degli accertamenti si era poi scoperto che la sua convivente aveva aperto una ditta con lo stesso oggetto sociale di quella chiusa dall'uomo, e che, inoltre, lo stesso aveva trasferito alla propria compagna un immobile di lusso dotato di giardino e piscina.
Corte di Cassazione ordinanza n. 17852 del 09 settembre 2015


15. Affidamento in prova ai servizi sociali
Merita particolare attenzione questa recente sentenza della Cassazione.
Con questo provvedimento la Suprema Corte ha precisato che il giudice del tribunale di sorveglianza non può rigettare la richiesta di affidamento in prova, avanzata dal condannato, basando il proprio convincimento unicamente sulla biografia criminale del condannato e sulla natura del reato commesso.
Questo tipo di misura alternativa non prevede una totale assenza della pericolosità sociale del condannato che può essere superata solo attraverso un percorso di rieducazione.
Dunque, nel caso di specie la Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso presentato dal condannato, perché non potevano trascurarsi degli elementi significativi circa la risocializzazione dell'uomo.
Il richiedente aveva, infatti, una stabile attività lavorativa ed inoltre da tempo aveva una relazione sentimentale duratura che aveva poi portato alla nascita di una figlia.
Corte di Cassazione sentenza n. 36233 dell' 8 settembre 2015


16. Diffamazione
Quando una storia d'amore finisce alcune persone riescono ad elaborare il "lutto emotivo" in modo sereno; altre persone, invece, possono dar vita ad una serie di vendette.
E' quello che è accaduto ad una donna che è stata vittima della vendetta del suo ex marito il quale ha pubblicato nel web un falso annuncio sessuale con il suo nome.
L'uomo è stato condannato per il reato di diffamazione e per il trattamento illecito dei dati personali commesso attraverso il web.
I giudici sono riusciti a risalire a lui attraverso l'indirizzo IP del dispositivo utilizzato e al luogo dove si trovava il pc, dal quale erano stati pubblicati i messaggi sessuali diffamatori, ovvero l'abitazione della madre dove l'uomo si era trasferito dopo la separazione.
Corte di Cassazione sentenza n. 34406 del 6 agosto 2015


17. Mantenimento del coniuge
Il coniuge che ha diritto al mantenimento deve provare la mancanza di reddito o la differenza reddituale con il coniuge. Dunque, durante il giudizio il giudice per poter quantificare l'assegno di mantenimento deve valutare le prove prodotte in giudizio. Se queste sono insufficienti allora può disporre ulteriori indagini delegando la polizia tributaria.
Il giudice però non è tenuto a disporre indagini tributarie se già attraverso le prove prodotte venga fuori l'insussistenza dei redditi da parte del coniuge obbligato.
Le indagini tributarie non hanno valore esplorativo, quindi, non possono sostituire l'onere della prova che ricade sulle parti.
In buona sostanza, l'attività di indagine della polizia tributaria è giustificata solo nell'ipotesi in cui la parte che richiede il mantenimento non riesca a dimostrare i redditi occulti dell'ex coniuge.
Corte di Cassazione sentenza n. 14050 del 7 luglio 2015


18. Dichiarazione di adottabilità
I minori in stato di abbandono possono essere dichiarati adottabili anche se i genitori dimostrano un legame affettivo forte.
Nella vicenda in argomento i figli di due genitori tossicodipendenti erano stati dichiarati adottabili perché ritrovati in un ambiente degradato e in condizioni igienico-sanitarie precarie.
I genitori avevano dimostrato un forte legame affettivo e si erano resi disponibili a seguire un percorso di riabilitazione.
Ma questo non è bastato per evitare l'adozione perché i tempi di recupero psicologico sono stati considerati incompatibili con il benessere psicofisico ed educativo dei figli; inoltre, i genitori erano privi di una adeguata preparazione scolastica.
Corte di Cassazione sentenza n. 17711 del 2015


19. Addebito per infedeltà coniugale
Davvero interessante questa sentenza emessa dal Tribunale di Trento.
In questa vicenda giudiziaria la prova dell'infedeltà coniugale e ' stata fornita dalla figlia maggiorenne che era riuscita a leggere sul telefonino del padre i messaggi inviati dall'amante; inoltre, la figlia aveva assistito ad una lite tra i genitori durante la quale il padre ammetteva di avere avuto una relazione sentimentale ma che era finita.
In questo modo attraverso la testimonianza della figlia l'addebito della separazione è stato pronunciato nei confronti del padre.
Tribunale di Trento sentenza n. 249 del 2015


20. Omicidio Meredith Kercher
Chi non ricorda il caso tristemente noto relativo all'omicidio della giovane studentessa inglese Meredith Kercher? La storia è stata raccontata con diverse chiavi di lettura sia sui giornali che in varie trasmissioni televisive. L'omicidio avvenne il 1° novembre 2007 e i primi sospettati furono la sua coinquilina, l'americana Amanda Knox (di Seattle) e il fidanzato Raffaele Sollecito(di Giovinazzo-Bari).
Per l'omicidio è stato condannato in via definitiva con rito abbreviato Rudy Guede, un cittadino della Costa d’Avorio.
In primo grado i due ragazzi furono condannati poi furono assolti nel 2011 dalla Corte d'Assise di Appello. La Corte di Cassazione il 26 marzo 2013 annullò la sentenza assolutoria d'appello e rinviò gli atti alla Corte d'Assise d'Appello di Firenze perché la sentenza presentava molte omissioni ed errori che rendevano inconsistenti le motivazioni.
La Corte d'Assise d'Appello di Firenze sancì nuovamente la colpevolezza degli imputati condannandoli a 28 anni e 6 mesi di reclusione.
La fine della storia si ha il 27 marzo 2015 quando la quinta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione ha assolto i due fidanzati per non aver commesso il fatto per mancanza di prove certe.
Nelle motivazioni della sentenza n. 3680 del 2015 (costituita da 52 pagine) si legge che l'assoluzione dei ragazzi è derivata dall'”assoluta mancanza di tracce biologiche” sia nella stanza dell’omicidio che sul corpo della vittima. Numerose tracce biologiche sono invece riconducibili a Rudy Guede che è stato condannato, per l'omicidio della studentessa, in via definitiva (con rito abbreviato) a 16 anni di carcere.
Corte di Cassazione sentenza n. 3680 del 2015


21. A chi spetta la competenza per ottenere le somme non versate a titolo di mantenimento del figlio?
Spetta al giudice di pace e non al tribunale la competenza a decidere sulla causa che ha ad oggetto il precetto di mantenimento del figlio minore al di sotto di un certo valore (5mila euro).
La competenza a decidere tale controversia, (articolo 615 comma l c.p.c.) è regolata dai criteri ordinari, trattandosi di controversia diversa da quella concernente il regolamento dei rapporti tra i coniugi anche in ordine alla prole, ovvero la modifica di tali provvedimenti, che gli articoli 706 e 710 c.p.c. riservano alla competenza per materia del tribunale.
Corte di Cassazione ordinanza n. 17670 del 04 settembre 2015


22. Pagamento dei compensi professionali
Fare l'avvocato non è semplice e spesso la cosa più difficile è riuscire a farsi pagare il giusto.
Ne sa qualcosa un collega che non avendo ottenuto l'onorario richiesto si era visto costretto ad agire in giudizio contro una società ex cliente.
L'avvocato aveva chiesto il pagamento dei propri onorari nella misura massima del tariffario in base allo scaglione di valore.
L'azienda riteneva, invece, che la somma di 1500 euro che era stata corrisposta al professionista fosse più che sufficiente.
Il Tribunale aveva dato ragione alla società ma per la Corte d'Appello il giudice di prime cure aveva sbagliato a porre l’onere della prova ex art. 2697 c.c. a carico del difensore.
Lo stesso invece doveva essere a carico del cliente, salvo che i compensi richiesti fossero al di sopra del massimo previsto.
Corte di Appello di Brescia sentenza 847 dell'8 agosto 2015


23. Risarcimento del danno morale
Per ottenere il risarcimento del danno delle lesioni micropermanenti il danneggiato deve provare la sofferenza sofferta.
Nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione un uomo si è visto rigettare il ricorso perché dopo essere stato vittima di un incidente e dopo aver ottenuto il risarcimento del danni, in sede di appello e' stato condannato a restituire 765 euro degli oltre 2860, che gli erano stati liquidati dalla compagnia assicuratrice, perché non era stato in grado di dimostrare la sussistenza del danno morale patito.
La Corte ha precisato, invece, che il danno morale va sempre provato anche attraverso presunzioni mentre non può verificarsi alcuna automaticità parametrata al danno morale sofferto.
Corte di Cassazione sentenza n. 17209 del 2015


24. Licenziamento
Confucio diceva: "scegli il lavoro che ami e non lavorerai neppure un giorno in tutta la tua vita".
Il lavoro però può anche perdersi se non si rispettano alcune regole.
Ad esempio un dipendente e' stato licenziato per giusta causa per aver creato un clima di tensione in azienda.
Il lavoratore in più occasioni aveva posto in essere un atteggiamento ingiurioso, minaccioso ed inoltre aveva violato delle norme circa il trasporto di medicinali.
L'azienda farmaceutica per cui lavorava aveva deciso quindi di licenziarlo; il dipendente si era difeso sostenendo che il suo atteggiamento era stato determinato a causa del comportamento persecutorio posto in essere dall'azienda.
Corte di Cassazione sentenza n. 17435 del 2 settembre 2015


25. Infedeltà coniugale
Questa vicenda giudiziaria e ' davvero singolare.
Un marito era riuscito a scoprire il tradimento della propria moglie grazie ad un registratore che aveva installato nella cucina della propria abitazione.
L'uomo era stato condannato dal Giudice di Pace di Senorbi' (Cagliari) perché dopo aver scoperto l'infedeltà l'aveva diffamata.
Anche la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza del Giudice di Pace, inoltre, la prova raccolta dal marito era inutilizzabile in violazione dell'art 191 c.p.p.
Infine, lo stato d'ira del marito non poteva considerarsi una scriminante al reato di diffamazione.
Va ricordato che chi utilizza lo strumento della registrazione per scoprire l'infedeltà altrui può essere querelato per il reato di interferenze illecite nella vita privata di cui all'art. 615-bis.c.p.
Corte di Cassazione sentenza n. 35681 del 2015


26. Circolazione di auto senza assicurazione
Chi circola con un'automobile sprovvista di assicurazione nel caso di sinistro stradale può richiedere il risarcimento dei danni?
La risposta arriva da una sentenza del Giudice di Pace di Napoli che ha precisato che: il danneggiato che circola con una autovettura sprovvista di assicurazione ha diritto al risarcimento dei danni(purché non abbia colpa nel sinistro) perché la condotta posta in essere dall'automobilista non rappresenta un reato perseguibile d’Ufficio; si tratta, invece, di una violazione al CdS per cui è prevista la sanzione amministrativa da € 848, 00 a € 3.393, 00 e il fermo amministrativo del veicolo.
Giudice di Pace di Napoli ex Pozzuoli, sentenza del 13 luglio 2015


27. L'avvocato è tenuto ad informare il cliente sui contrasti giurisprudenziali
E' un dovere dell'avvocato informare il cliente sulle difficoltà di una causa, inoltre, l'obbligo di informazione riguarda anche i contrasti giurisprudenziali sulla controversia.
In buona sostanza, se su una norma giuridica relativa ad una controversia c'è un contrasto giurisprudenziale il cliente deve essere informato in modo da poter decidere se intraprendere o meno una causa.
Corte di Cassazione sentenza n. 14639 del 14 luglio 2015


28. Addebito della separazione
L'addebito della separazione può essere chiesto per vari motivi ad esempio per ipotesi di maltrattamenti.
Bene, questa sentenza della Corte di Appello di Lecce precisa che un unico episodio di maltrattamenti non può bastare per chiedere la separazione con addebito.
Infatti, l'addebito della separazione non può fondarsi sulla semplice violazione di un dovere coniugale ma è necessario che l'atteggiamento violento dell'atro coniuge abbia il carattere della continuità; solo in questo modo più episodi di maltrattamenti possono determinare l'intollerabilità della convivenza.
Corte di Appello di Lecce sentenza n. 109 del 2015


29. Doppio lavoro
Spesso per sbarcare il lunario un solo lavoro non basta e allora se ne svolgono due; attenzione però a non svolgere due attività lavorative nello stesso posto. Questa leggerezza può costare cara; e' ciò che è accaduto ad un dipendente che durante l'orario di lavoro, all'interno dell'azienda per cui lavorava, vendeva ai colleghi prodotti di qualsiasi tipo.
Il dipendente è stato licenziato perché nonostante avesse ricevuto ben due contestazioni, in merito al suo operato, ha continuato a porre in essere questa condotta illecita.
Il licenziamento e' stato, dunque, considerato legittimo.
Corte di Cassazione sentenza n. 17117 del 2015


30. Per installare i condizionatori serve la Scia
"Anto' fa caldo" così recitava una giovane Luisa Ranieri in uno spot Nestea di qualche anno fa.
In estate quando il caldo si fa davvero insopportabile l'unico rimedio è quello di starsene in casa grazie all'aria fresca generata dai condizionatori.
Ma attenzione con una recente sentenza il TAR del Lazio ha stabilito che se il condizionatore è installato all'esterno è necessaria la Scia ossia la "segnalazione certificata di inizio attività".
Diversamente, se non ci si attiene a questa disposizione, si può essere sanzionati con una multa salata. Inoltre, e' tenuto a pagare la multa anche chi acquistando l'immobile successivamente trova già i condizionatori installati all'esterno.
Nel caso di specie, il TAR del Lazio ha confermato la sanzione amministrativa pari ad euro 516 che il Comune di Civitavecchia aveva irrogato nei confronti di un proprietario di una galleria d'arte il cui immobile aveva all'esterno due condizionatori.
TAR del Lazio sentenza n. 10826 del 14 agosto 2015


31. Adozione degli zii
Perché possa dichiararsi l'adottabilità di un minore e' necessario che lo stesso versi in uno stato di abbandono e che sia accertata l'inidoneità di tutti i parenti.
In buona sostanza, con una recente sentenza la Cassazione ha precisato che prima di emettere una dichiarazione di adottabilita' bisogna verificare l'idoneita' di tutti i parenti entro il quarto grado che possano occuparsi del minore.
Nella vicenda in questione la Cassazione ha dato ragione a degli zii paterni che avevano chiesto l'affido etero-familiare di due nipoti; era accaduto, invece, che i giudici di merito avevano dichiarato le bambine adottabili e le avevano collocate presso una coppia in lista di attesa per l'adozione nazionale.
Per la Suprema Corte, invece, in questi casi va non solo valutato lo stato di abbandono del minore ma bisogna tener conto della disponibilità dei parenti, entro il quarto grado, capaci di sostituirsi in maniera valida alla carente inidoneità familiare.
È importante non allontanare frettolosamente il minore dalla famiglia di origine ma va sperimentato, nel tempo, un recupero delle capacità genitoriali.
Corte di Cassazione sentenza n. 16897 del 2015


32. L'infedeltà del coniuge può essere provata con la relazione scritta dell'investigatore privato
Secondo precedenti pronunce giurisprudenziali la relazione scritta dell'investigatore privato, corredata anche di materiale fotografico, non può essere considerata una valida prova nel processo civile ma è necessario che l'investigatore privato venga ascoltato come testimone.
Di avviso contrario e', invece, una sentenza del Tribunale di Milano che ha ritenuto comunque valido, anche se considerata come prova "atipica", il dossier investigativo del detective senza la sua testimonianza.
Va chiarito però che la suddetta prova rimane valida purché la controparte non riesca a contestare nel merito i fatti che gli vengono contestati e quindi ad esempio a dare un'altra chiave di lettura.
Tribunale di Milano sentenza dell’1 Luglio 2015


33. Rumori molesti
Anche i campanacci e i belati delle pecore possono disturbare il riposo e la quiete dei vicini.
Nella vicenda in questione il proprietario di un edificio adiacente ad una zona di pascolo aveva chiesto il risarcimento del danno esistenziale a causa dei rumori molesti provocati dagli animali da pascolo.
In realtà è stato disposto che il pascolo delle pecore doveva avvenire a 100 metri di distanza dell'edificio delle persone disturbate dai continui rumori mentre alcun danno esistenziale è stato riconosciuto perché non provato.
Il ricorrente aveva sostenuto la lesione di diritti costituzionali come il tranquillo godimento del domicilio o la libertà di spostamento.
La Suprema Corte, pur ammettendo in astratto che il continuo belare delle pecore poteva aver provocato un danno, ha invece ritenuto che nessun danno poteva essere risarcito al ricorrente perché non provato sia nell' "an" che nel "quantum debeatur".
Logica conseguenza e' che per ottenere un danno non patrimoniale determinato da "immissioni rumorose" e' necessario che la lesione sia concreta al punto da garantire un meritevole ristoro.
Corte di Cassazione sentenza n. 17013 del 20 agosto 2015


34. Nel caso di diagnosi tardiva si ha diritto al risarcimento del danno
Nel caso posto all'attenzione della Suprema Corte un medico non e' riuscito a diagnosticare in tempo una patologia terminale che aveva poi determinato la morte del paziente.
In buona sostanza gli eredi di una donna, che era morta a causa di un carcinoma all'utero, avevano chiesto un risarcimento dei danni al ginecologo che l'aveva seguita per 5 mesi. Il medico non era riuscito a diagnosticare la grave patologia nonostante la donna avesse continue perdite ematiche.
La Corte di Appello aveva ritenuto non sussistente il nesso causale tra il ritardo con cui era stata diagnosticata la malattia e la morte della donna, proprio in considerazione dell'aggressività della malattia.
Per i giudici di Piazza Cavour, invece, il medico e' stato ritenuto responsabile per non aver diagnosticato in tempo la malattia; in questo modo è stato determinato un ritardo anche nell'esecuzione di un intervento palliativo che avrebbe potuto alleviare il dolore al paziente.
Corte di Cassazione sentenza n. 16993 del 20 agosto 2015


35. Tassa sui rifiuti
La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, chiarisce che: "la tassa sui rifiuti va sempre pagata anche se non si utilizza il servizio."
Ai fini del pagamento della tassa va considerata la detenzione del locale e non la fruizione del servizio da parte del contribuente.
Nel caso di specie la Corte ha accolto il ricorso presentato dal Comune di Lodi avverso la decisione della CTR Lombardia.
Quest'ultima, infatti, aveva reso "felice" un contribuente annullando una cartella di pagamento relativa alla Tarsu anno 2006; era stato ritenuto che la tassa non andava pagata perché il contribuente non poteva utilizzare il servizio pubblico; infatti, tra l'abitazione del contribuente e il punto di raccolta dei rifiuti non c'era un collegamento stradale.
La Cassazione ricorda, invece, che: " la tassa sui rifiuti viene a gravare su chiunque occupi o conduca locali a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale dove sono istituiti i servizi per la raccolta dei rifiuti.
Corte di Cassazione sentenza n. 12035 del 10 giugno 2015


36. Qual è il Tribunale competente a decidere sull'affidamento e il mantenimento del minore?
Sulla questione si è espresso recentemente il Tribunale di Roma con una ordinanza cercando di precisare alcuni aspetti spesso sottovalutati.
Nella vicenda in argomento una madre si trasferiva in un'altra città con il figlio minore senza l'accordo dell'altro genitore. Nonostante il trasferimento a Cassino il Tribunale competente sull'affidamento e il mantenimento del minore è stato considerato quello di Roma, luogo dove il minore aveva la residenza sin dalla nascita.
Il Tribunale di Roma ha quindi chiarito che per individuare la competenza il giudice deve prendere in considerazione il luogo dove abitualmente vive il minore quindi il luogo che è il centro della vita e dei suoi interessi.
Non ha, invece, alcuna rilevanza la semplice residenza anagrafica oppure gli spostamenti del minore in altri luoghi che abbiano carattere temporaneo.
Nel caso in questione il minore e' stato affidato congiuntamente ad entrambi i genitori con l'obbligo del padre di provvedere mensilmente al mantenimento del figlio; il comportamento della madre però è stato punito ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c. per aver unilateralmente trasferito il figlio in un'altra città senza il consenso dell'altro genitore.
La donna per questa ragione dovrà versare al padre, a titolo di risarcimento, una somma pari ad euro 2000, 00.
Tribunale di Roma ordinanza del 19 giugno 2015


37. Assegno divorzile e nuova famiglia di fatto
È ormai un orientamento giurisprudenziale consolidato quello di escludere l'assegno divorzile nell'ipotesi in cui venga costituita una nuova famiglia di fatto e questo indipendentemente dalle condizioni reddituali dei coniugi.
Il caso in questione, giunto sino in Cassazione, prende le mosse da un ricorso avanzato da un uomo che lamentava una non corretta valutazione del giudice in sede di modifica delle condizioni di divorzio.
In buona sostanza il giudice aveva ridotto l'assegno di mantenimento a carico del marito ed in favore della ex moglie ad euro 350 nonostante entrambi gli ex coniugi avessero dato vita a relazioni affettive stabili.
La Corte, chiamata a decidere sulla questione, ha invece rimarcato che nelle ipotesi in cui gli ex coniugi abbiano raggiunto una nuova stabilità familiare l'assegno divorzile deve essere negato o sospeso.
A conforto di ciò la Cassazione ha ricordato altre pronunce in merito (come la sentenza n. 17195 del 2001 e la 17898 del 2012).
Corte di Cassazione sentenza n. 17811 del 2015


38. Stalking
Deve considerarsi stalking anche l'atteggiamento di chi crea profili falsi, sui vari social network, riconducibili alla vittima. In questa vicenda giudiziaria un uomo aveva posto in essere una serie di atti persecutori nei confronti di una ragazza con la quale aveva avuto una relazione sentimentale. Tra i gesti invasivi c'era stato quello di creare dei profili falsi con il nome della donna sui vari social frequentati da maniaci sessuali i quali importunavano la donna in continuazione credendo fosse disponibile per prestazioni sessuali.
Corte di Cassazione sentenza n. 36894 del 2015


39. Infedeltà coniugale non vale per l’affido dei figli
Come ripetuto tante volte una delle cause di addebito della separazione e' l'infedeltà coniugale, attenzione però l'infedeltà coniugale investe solo il rapporto moglie- marito mentre l'atteggiamento del coniuge fedifrago non può essere utilizzato contro lo stesso per ottenere l'affidamento esclusivo dei figli.
Dunque, il coniuge infedele non può essere considerato un genitore non adatto per l'affidamento condiviso dei figli; di conseguenza nelle ipotesi di infedeltà coniugale si potrà chiedere l'addebito della separazione e nei casi più gravi anche il risarcimento del danno.
Di contro però il coniuge che utilizza il tradimento dell'altro coniuge per denigrare il padre o la madre agli occhi dei figli pone in essere un atteggiamento scorretto che comporta una serie di conseguenze come l'ammonizione da parte del giudice, il pagamento di una sanzione amministrativa e nelle ipotesi più gravi la revoca dell'affidamento.
Tribunale di Milano ordinanza del 9 luglio 2015


40. Lavoro nei giorni festivi
In questa vicenda il datore di lavoro di una società aveva imposto ad una sua dipendente, addetta alle vendite, di lavorare in un giorno festivo e cioè il 6 gennaio. La dipendente aveva rifiutato di lavorare in quel giorno e per questo motivo il datore di lavoro l'aveva licenziata in tronco.
La Cassazione investita della questione ha ritenuto illegittima la sanzione imposta alla commessa stabilendo che il lavoratore può lavorare anche durante le festività infrasettimanali (civili o religiose) solo nell'ipotesi in cui vi sia stato un previo accordo tra dipendente e datore di lavoro mentre non può essere imposto alcun obbligo di lavorare durante le festività.
Corte di Cassazione sentenza n. 16592 del 2015


41. Assegnazione della casa familiare
Davvero interessante è questa recente sentenza della Cassazione nella quale la Corte chiarisce che anche nelle ipotesi di "famiglie di fatto" la casa familiare deve essere assegnata al genitore collocatario dei figli anche se il proprietario esclusivo dell'immobile sia l'altro compagno, anche se il genitore collocatario dei figli non sia conduttore dell'immobile oppure non abbia una posizione giuridica qualificata con riferimento all'immobile.
Ma la cosa più interessante e' che il diritto del genitore collocatario dei figli, a restare nella casa familiare, prevale anche sul diritto di chi ha acquistato l'immobile ed ha trascritto il titolo ancor prima dell'assegnazione.
In questa vicenda, i giudici di legittimità hanno accolto il ricorso di una donna che dopo la fine della storia con il suo compagno era rimasta a vivere con i figli, nati dalla relazione con l'uomo, nella casa di proprietà del compagno.
I giudici di merito avevano dato torto alla donna accogliendo le richieste della società immobiliare che chiedeva il rilascio dell'immobile perché occupato dalla donna senza titolo.
A mettere un punto fermo sulla questione è poi intervenuta la Cassazione che ha chiarito che: "il genitore collocatario dei figli è detentore qualificato dell'immobile e nell' esercitare il diritto di godimento dell'immobile e' assimilabile al comodatario anche se proprietario esclusivo sia l'altro compagno".
Logica conseguenza e' che l'assegnazione dell'immobile disposta dal tribunale e' opponibile al terzo acquirente il quale prima di acquistare l'immobile sapeva benissimo che l'immobile era occupato dalla ex convivente del proprietario e dai suoi figli.
Corte di Cassazione sentenza n. 17971 dell' 11 settembre 2015


42. Dare del "leccapiedi" configura il reato di ingiuria
Durante delle discussioni animate possono volare parole pesanti al punto da ledere la reputazione dell'interlocutore.
Quindi, deve considerarsi una vera e propria offesa la parola " leccapiedi" o "leccacu.." anche se utilizzata dal datore di lavoro nei confronti di un dipendente apostrofato in questo modo perché aveva assunto un atteggiamento di riverenza nei confronti di un altro dirigente dell'azienda.
Di conseguenza se è consentito che il datore di lavoro rimproveri il dipendente per errori o leggerezze commesse durante lo svolgimento dell'attività lavorativa di contro il "capo" non può utilizzare parole offensive che ledano l'onore del lavoratore; inoltre, non ha alcuna importanza che la parola offensiva sia stata pronunciata durante uno stato di alterazione psicologica.
Corte di Cassazione sentenza n. 35013 del 2015


43. Alienazione parentale
In caso di separazione personale dei coniugi la regola generale e' quella di affidare i figli in maniera condivisa ad entrambi i genitori.
Ma a questa regola generale e' prevista l'eccezione "dell'affidamento esclusivo" ad un solo genitore in casi particolari.
Interessante a tal proposito e' un decreto emesso dal Tribunale di Cosenza con cui e' stato disposto l'affidamento esclusivo dei figli al padre perché la ex moglie aveva manipolato i figli al punto tale da allontanarli sia fisicamente che psicologicamente dal padre.
Tutto questo è stato dimostrato attraverso una CTU psicologica che aveva rilevato non solo un rifiuto innaturale della figura paterna ma anche un grave atteggiamento denigratorio dei minori nei confronti del padre.
Tribunale di Cosenza decreto n. 778 del 29 luglio 2015


44. Spese straordinarie per i figli
Il coniuge non affidatario dei figli e' sempre tenuto a corrispondere l'importo delle spese straordinarie? In genere le spese straordinarie devono essere preventivamente concordate; però nel caso in cui la spesa abbia una certa utilità e sia proporzionata al tenore di vita, il genitore non collocatario dei figli è tenuto a contribuire.
Nel caso di specie la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un padre che si era rifiutato di pagare il 50% delle spese straordinarie per la cameretta nuova della figlia, inoltre, aveva rifiutato di sostenere le spese per uno stage all’estero che avrebbe consentito alla figlia di imparare l'inglese.
In buona sostanza l'uomo aveva presentato una opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Giudice di Pace di Taranto con cui gli veniva ordinato di pagare 1.098 euro all’ex moglie come rimborso del 50% per le spese sostenute in favore della figlia.
L'uomo riteneva di non doverle pagare perché gli esborsi non erano né urgenti né indifferibili ed inoltre non erano stati concordati preventivamente.
Corte di Cassazione ordinanza n. 16175 di luglio 2015


45. Rimozione della canna fumaria
Quando si abita in un condominio bisogna sempre rispettare il regolamento condominiale, quindi, le iniziative spontanee di un condomino non possono sempre trovare accoglimento.
Nel caso di specie un condomino aveva montato sul muro di confine, del palazzo condominiale, una canna fumaria che alterava pero' l'estetica dell'edificio.
Il condomino ha dovuto rimuovere la canna fumaria perché la stessa era stata posizionata su una parte comune dell'edificio; inoltre, la canna fumaria limitava la luminosità di un altro appartamento ed infine aveva dato vita ad uno stillicidio di acque sporche a causa della condensazione dei fumi.
Corte di Cassazione sentenza n. 17072 del 2015


46. Ingiuria
Bisogna distinguere la maleducazione dalle offese; solo le offese, infatti, possono ledere l'onore e il decoro di una persona.
In questa vicenda giudiziaria una donna era stata condannata per il reato di ingiuria per essersi rivolta al cognato pronunciando le seguenti parole: "stai zitto e non dire belinate”.
La donna si era difesa sostenendo che le parole usate erano tipiche del linguaggio genovese ed erano state proferite in tono scherzoso e che in quel periodo era in buoni rapporti con il cognato.
Sulla scorta di queste considerazioni la Corte di Cassazione ha dato ragione alla donna.
Corte di Cassazione sentenza n. 35027 del 20 agosto 2015


47. Diritto di visita del padre
Il genitore non collocatario del figlio, e' tenuto ad osservare scrupolosamente il rispetto del "diritto di visita" così come previsto dal provvedimento giudiziale.
Trasgredire le disposizioni può determinare la condanna del genitore non collocatario a risarcire il danno al minore.
Nella storia in argomento un padre aveva chiesto alla propria figlia, che peraltro si era rifiutata, di trascorrere i weekend di propria spettanza, in compagnia della propria compagna e per giunta presso l'abitazione della donna.
L'uomo per un po' di anni era stato fisicamente assente dalla figlia anche perché si era trasferito all'estero con la propria compagna. La condotta posta in essere è stata vista come un limite al recupero del rapporto affettivo e comunicativo con la figlia. L'uomo, dunque, comportandosi in questo modo e' stato sanzionato ai sensi dell'art. 709 - ter c.c. perché non è stato in grado di dare un maggiore valore al proprio ruolo genitoriale e alle esigenze della minore rispetto alla relazione sentimentale con la nuova compagna.
Tribunale di Roma sentenza del 23 gennaio 2015


48. Si applica il codice del consumo nell'ipotesi di acqua al posto della benzina
Anche se non è così frequente può però capitare che andando a fare rifornimento, ad una pompa di benzina, nel serbatoio della vettura finisca oltre alla benzina anche dell'acqua.
Se ciò accade inevitabilmente la vettura subisce dei danni dei quali risponderà il titolare del distributore di benzina.
In queste ipotesi si applica il codice del consumo quindi ci sarà una " tutela in forma specifica" del consumatore che potrà chiedere o la riparazione o la restituzione del bene.
Nella vicenda in questione il proprietario della pompa di benzina e' stato condannato a pagare, al proprietario della vettura, la somma di 2500 euro per le spese che erano state affrontate per riparare il mezzo.
Giudice di Pace di Perugia sentenza n. 400 del 18 aprile 2015


49. Mantenimento dei nonni ai nipoti
Anche i nonni sono tenuti al mantenimento dei nipoti. Ma in quali circostanze?
Una sentenza " vintage " anno 2010 ricorda che anche i nonni sono tenuti al mantenimento dei nipoti quando vi sia una impossibilità oggettiva, da parte dei genitori, di mantenere i figli.
L 'obbligo dei nonni al mantenimento dei nipoti e' previsto però solo in via sussidiaria; in buona sostanza essi saranno tenuti al mantenimento non quando uno dei due genitori sia rimasto inadempiente al proprio obbligo ma solo nell'ipotesi in cui l'altro genitore non sia in grado di provvedervi per mancanza di mezzi oppure per omissione volontaria.
Va ricordato, altresì, che ai sensi dell’art. 148 c.c. è possibile ottenere un decreto giudiziale.
Il Tribunale competente sarà il tribunale del luogo di residenza del genitore o degli ascendenti inadempienti.
Con il decreto viene stabilito il versamento di una quota dei redditi dell’obbligato direttamente al genitore o a chi sopporta le spese di mantenimento.
Corte di Cassazione sentenza n. 20509 del 2010


50. Indebito arricchimento
Nella vicenda in questione un condominio, a causa di alcune infiltrazioni di acqua, aveva deliberato in assemblea di eseguire dei lavori di manutenzione straordinaria. Le spese venivano divise sulla base delle tabelle millesimali ma a causa di un errore presente nelle tabelle non veniva contemplato un immobile danneggiato. Il proprietario dell'immobile traeva beneficio da queste riparazioni ma in realtà non aveva partecipato alle spese.
Il condominio per ottenere il rimborso di ciò che era stato pagato ha dunque agito nei confronti di questo proprietario per indebito arricchimento.
Corte di Cassazione sentenza n. 5690 del 10 marzo 2011


Fonte: Briciole di Diritto. Un riepilogo delle sentenze "estive", "autunnali" e "vintage" più significative
(www.StudioCataldi.it)